Presa
sul serio, la sentenza del giudice Esposito è grave: espone il Parlamento allo
svuotamento totale, anche formale. Finora ha vivacchiato facendo finta di
legiferare, al
riparo del “porcellum”, la legge elettorale che consente finte maggioranze. Alle prossime elezioni sarà un sinedrio di teste vuote: i governi,
la politica e le decisioni si faranno fuori, dove Berlusconi avrà ancora il
diritto di risiedere, seppure ai lavori socialmente utili – lavori, utili: che disprezzo,
anche del linguaggio. Anche se, in realtà, non cambia nulla: la sentenza telefonata,
una carnevalata anche nei contorni, del solito napoletano sicofante ambrosiano, conferma
che Milano ci governava e ci governa a piacere (anche attraverso Berlusconi).
Ma,
se questa è la vera dimensione della storia, una comica, a essa conviene anche acconciarsi.
Non si può pretendere una revolución,
non contro Milano. Non avremmo neanche i soggetti per chiamarla, oltre che gli
strumenti. Il nostro miglior capataz,
Asor Rosa, un vegliardo voluttuosamente incontinente, scrittore di apologhi
fiabeschi dopo essere stato teorico del materialismo letterario, o della lotta
di classe in letteratura, uno che si è goduto tutto, compreso spaccare la
facoltà di Lettere dell’università La Sapienza per creare una cattedra alla sua compagna, voleva Berlusconi peggio di Mussolini a Ferragosto del 2008. Salvo poi prospettare un golpe invece della revolución, chiamando nominativamente
carabinieri e polizia alla sedizione, aprile del 2011 - non era nemmeno il
primo aprile.
Abbiamo
combattenti della libertà attenti a camuffare il business, per piccolo che sia.
Della stessa stoffa di Berlusconi, insomma. Che ora si pone nelle vesti di
martire. Della casa, dell’impresa, della giustizia, e naturalmente della libertà.
Un monumento gli hanno eretto questi giudici alla Esposito, che lui si
incaricherà di sfruttare in ogni piega. Chi non è vittima dell’ingiustizia? Nemmeno
Asor Rosa difende Esposito - non si dice, ma si sa, che volentieri il giudice si è conformato allo ukase milanese, per riparare il torto che i berlusconiani hanno inflitto a suo fratello Vitaliano, ex Procuratore Generale della Cassazione, cassandogli la prebenda di 200 mila euro, annui, quale Garante della protezione ambientale a Taranto..
Serio e reale
Dobbiamo
però prendere Berlusconi sul serio. Non solo perché è reale: uno che lo mandano
in prigione non può essere di plastica. Non solo perché è il primo politico
condannato della Repubblica perché
“non poteva non sapere” - dopo
Craxi: due milanesi, per caso? Non solo perché ha rappresentato e rappresenta
mezza Italia: noi non facciamo compromessi, questa Italia la cancelliamo, come
Hitler, anzi come Stalin, sporchi reazionari e socialfascisti. Ma perché ha
fiducia, in se stesso e negli altri. Si circonda di gente inetta ma gli vuole
bene, e sempre li remunera: gli porta voti e potere.
I
nostri migliori storici non sono riusciti a scalfirlo – Asor Rosa viene in coda
a una lista lunghissima di grandi, comunque lunghe, e inefficaci riflessioni,
di Cordero, Ginsborg, Gotor, etc. Che non ne capiscono la vera natura, per
questo non lo appendono per i piedi come vorrebbero. La vera natura del berlusconismo, si capisce ora
nella disgrazia, è la fiducia: la voglia di fare con la pretesa di saperlo
fare. Anche, nel caso dei suoi governi, con l’imperizia. Questo si vede con un
accorgimento semplice, facendo un passo indietro dal proscenio.
Si dice Berlusconi un monopolista della televisione. Mentre
la tv è la Rai: è la Rai che fa il linguaggio.
Berlusconi è improponibile in tv. Non solo non “buca” lo
schermo, non fa presa, ma respinge, sempre inamidato, ingessato, straparlante,
monotono. Semmai è un maestro della “vecchia” politica: il comizio, le folle,
il governo dei suoi. Quindi nemmeno un innovatore, ulteriore debolezza n
aggiunta all’impresentabilità. In un senso, però, è vero che è il magnate della
tv: nel senso che sfida il linguaggio Rai, del pauperismo, la lamentela, la
furbizia (- eh sì, anche la furbizia) del bisogno. Berlusconi è ottimista.
La povera Italia è ricca
Si
spiega solo così il miracolo che mezza Italia lo abbia votato. L’attrazione per
il povero-e-debole, seppure del tipo apotropaico (scongiuro), il lamento, la
Rai per intenderci, tengono l’Italia a freno. Triste, lagnosa. Berlusconi è il
contrario. Non è una differenza da poco. Si può dire anzi che è per questo che lo
puniscono: la fiducia e l’ottimismo significano la libertà, e il Raiume non li
tollera, il pretume. Berlusconi viene infatti condannato come Craxi, l’altro
politico che aveva tentato di dire ricchi i ricchi, e dagli stessi ambienti
confessionali, della curia ambrosiana così profondamente infetta.
L’esito
pratico dell’ottimismo sarà alla fine non diverso né migliore di quello del
pessimismo, ma non bisogna disperare, è già un buon passo. Intanto ripaga
Berlusconi, quindi inefficace non è. Ma è anche – sarebbe, dovrebbe essere – un
atto di onestà: riconoscersi ricchi è infine non più camuffarsi (evadere il
fisco, professarsi solidali incassando pensioni da centomila euro pagate dalla
collettività, e fare l’elemosina, raramente), stare nel proprio ruolo. Una borghesia
che si accetta e non si nega, e non pretende sconti. Non si camuffa più, come è
quella milanese che pretende di governarci, che è ladrona e si pretende onesta,
è furba e si pretende ingenua, è malvagia e si pretende buona. Bensì si
riconosce e dice per quello che è, come avviene in Europa, Spagna compresa, e
negli Usa, e si prende infine le sue responsabilità di società ricca.
Noi
che siamo antiborghesi invece ci lasciamo fregare dai borghesi che si negano.
Berlusconi stesso ne è un esempio, involontario?, in famiglia: con una moglie
vendicativa, che si fa scrivere le lettere di denuncia da un giornalista
nemico, e con la quale ha cresciuto figli senza senno, bellamente torvi. Il “fare”
porta a trascurare, ha questo handicap. Ma di lui si deve dirlo: non ha dato il
Milan all’erede incapace che lo pretendeva, come altri magnati milanesi
antiborghesi
Il
riconoscimento di se stessi non è niente di rivoluzionario, ma può essere la
chiave di un successo. Che l’Italia è uno dei paesi più complessi e meglio
organizzati al mondo, anche se peggio governati da qualche tempo, più ricchi
anche. Che ha un dovere di amministrarsi e non di disperdere il patrimonio dei
secoli e millenni. Senza nascondersi dietro al democrazia: la democrazia vuole
impegno, per sé e per gli altri.
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