mercoledì 14 agosto 2013

Dove ha fallito Berlusconi, nella tv

Berlusconi è il soggetto di centinaia, forse migliaia, di libri contro. Solo da qualche anno i banchi Feltrinelli dell’attualità politica non sono più ingombri di libri contro, da cinquanta a cento titoli attendevano a ogni stagione. Più una serie di saggi di eminenti storici e sociopolitici, anch’essi però da talkshow: niente resta di Gibelli (autoritarismo), Cordero (illegalità), Santomassimo (fascismo), o degli storici di partito, Ginsborg, Gotor e altri minori. Una pubblicistica più inutile, nella migliore delle ipotesi, di quella antimafia, che è tutto dire – che magnifica cioè, sotto sotto, la mafia.
Le polemiche del resto sono scontate: Berlusconi è corrotto, corruttore, mafioso, mercante di droga, di armi, tiranno, amico di tiranni - manca stranamente il Berlusconi magnaccia, che invece gli ha valso una condanna, si vede che il soggetto non tira più. Tutte giocate, alla fine, sul Berlusconi monopolista della televisione. Mentre ognuno sa che la televisione è la Rai, è la Rai che fa il linguaggio. E che lui personalmente è improponibile in tv. Non solo non “buca” lo schermo, non fa presa, ma respinge, sempre inamidato, ingessato, straparlante, monotono. I suoi telegiornali e talkshow, con tutta la buona volontà e la finezza tecnica, non riescono a farlo digerire.
Orsina tenta un’altra strada, il radicamento di Berlusconi nella tradizione italiana. Per uno storico non ideologo (ma abbiamo solo storici di partito, o di giornale) è l’unica strada percorribile. Con gli strumenti del minimalismo popperiano. Che alla “domanda «platonica»”, di chi “debba governare”, per nascita, diritto o saggezza, sostituisce quella comune alle democrazie occidentali, “su come chi governa possa, all’occorrenza, essere sostituito pacificamente”. Orsina articola la ricerca su un lungo excursus storico, che a tratti fa perdere il filo, ma il succo è chiaro: l’Italia politica è un muro, un blocco di potere, più o meno immutabile, che si chiami liberale, nazionale, fascista, cattolico, compromissorio, che ogni cambiamento vuole assimilare sotto controllo, per accomodamenti e slittamenti, sempre in ritardo, sempre conservatore.
Questo blocco non è solo italiano, sembra dire Orsina. Che si fa soccorrere da John Stuart Mill: si ha vera libertà quando si è “capaci di migliorare attraverso la discussione libera e tra eguali”, prima non c’è altro che “l’obbedienza assoluta a un Aqbar o a un Carlomagno”, se si riesce a trovarne uno.  Ma non è chi non veda che solo in Italia il blocco è inamovibile, col Muro e senza il Muro, da ultimo con Mani Pulite, una “rivoluzione reazionaria” se mai ce ne fu una, benché – o perché – milanese.
Berlusconi – peraltro anch’egli molto milanese – è quello che con più abilità e successo ha scalfito quel blocco. Per il messaggio, che questo sito ha definito dell’ottimismo, o del riconoscimento che l’Italia è un paese ricco. E per la capacità di veicolarlo. Ma ha fallito, pure lui.
Il linguaggio è la Rai, povero
Anche Orsina usa le categorie fumose del populismo mediatico – che si poteva risparmiare: l’Italia, ricca e povera, non è scema. Berlusconi semmai è un maestro della “vecchia” politica: il comizio, le folle, il governo dei suoi. Da venditore eccellente quale è. Ma è vero che ha fallito. In un senso è vero che è il magnate della tv, nel senso che sfida il linguaggio Rai, del pauperismo, la lamentale, la furbizia (eh sì, anche la furbizia). Ma anche lui sbatte contro un muro inscalfibile.
In filigrana, va osservato che Orsina misura il berlusconismo con J.S.Mill e Karl Popper. Cioè con la sinistra libertaria che si rifiuta, che l’Italia – il blocco, il muro – rifiuta. Più che una critica del berlusconismo, un’imputazione di fallimento, la sua ricerca ne fa “oggettivamente” l’esito di un’insufficienza della sinistra. Di una sinistra che si vuole immutabile per non riconoscersi decrepita, ipocrita, faziosa – “sovietica” (fascista?).  
Giovanni Orsina, Il berlusconismo nella storia d’Italia, Marsilio, pp. 239 € 19,50

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