Berlusconi è il soggetto di centinaia, forse
migliaia, di libri contro. Solo da qualche anno i banchi Feltrinelli
dell’attualità politica non sono più ingombri di libri contro, da cinquanta a
cento titoli attendevano a ogni stagione. Più una serie di saggi di eminenti
storici e sociopolitici, anch’essi però da talkshow: niente resta di Gibelli
(autoritarismo), Cordero (illegalità), Santomassimo (fascismo), o degli storici
di partito, Ginsborg, Gotor e altri minori. Una pubblicistica più inutile,
nella migliore delle ipotesi, di quella antimafia, che è tutto dire – che
magnifica cioè, sotto sotto, la mafia.
Le polemiche del resto sono scontate:
Berlusconi è corrotto, corruttore, mafioso, mercante di droga, di armi,
tiranno, amico di tiranni - manca stranamente il Berlusconi magnaccia, che
invece gli ha valso una condanna, si vede che il soggetto non tira più. Tutte
giocate, alla fine, sul Berlusconi monopolista della televisione. Mentre ognuno
sa che la televisione è la Rai, è la Rai che fa il linguaggio. E che lui
personalmente è improponibile in tv. Non solo non “buca” lo schermo, non fa
presa, ma respinge, sempre inamidato, ingessato, straparlante, monotono. I suoi
telegiornali e talkshow, con tutta la buona volontà e la finezza tecnica, non
riescono a farlo digerire.
Orsina tenta un’altra strada, il
radicamento di Berlusconi nella tradizione italiana. Per uno storico non
ideologo (ma abbiamo solo storici di partito, o di giornale) è l’unica strada
percorribile. Con gli strumenti del minimalismo popperiano. Che alla “domanda
«platonica»”, di chi “debba governare”, per nascita, diritto o saggezza,
sostituisce quella comune alle democrazie occidentali, “su come chi governa
possa, all’occorrenza, essere sostituito pacificamente”. Orsina articola la
ricerca su un lungo excursus storico, che a tratti fa perdere il filo, ma il
succo è chiaro: l’Italia politica è un muro, un blocco di potere, più o meno
immutabile, che si chiami liberale, nazionale, fascista, cattolico,
compromissorio, che ogni cambiamento vuole assimilare sotto controllo, per
accomodamenti e slittamenti, sempre in ritardo, sempre conservatore.
Questo blocco non è solo italiano, sembra
dire Orsina. Che si fa soccorrere da John Stuart Mill: si ha vera libertà
quando si è “capaci di migliorare attraverso la discussione libera e tra eguali”,
prima non c’è altro che “l’obbedienza assoluta a un Aqbar o a un Carlomagno”,
se si riesce a trovarne uno. Ma non è
chi non veda che solo in Italia il blocco è inamovibile, col Muro e senza il
Muro, da ultimo con Mani Pulite, una “rivoluzione reazionaria” se mai ce ne fu
una, benché – o perché – milanese.
Berlusconi – peraltro anch’egli molto
milanese – è quello che con più abilità e successo ha scalfito quel blocco. Per
il messaggio, che questo sito ha definito dell’ottimismo, o del riconoscimento
che l’Italia è un paese ricco. E per la capacità di veicolarlo. Ma ha fallito, pure
lui.
Il
linguaggio è la Rai, povero
Anche Orsina usa le categorie fumose del
populismo mediatico – che si poteva risparmiare: l’Italia, ricca e povera, non
è scema. Berlusconi semmai è un maestro della “vecchia” politica: il comizio,
le folle, il governo dei suoi. Da venditore eccellente quale è. Ma è vero che
ha fallito. In un senso è vero che è il magnate della tv, nel senso che sfida
il linguaggio Rai, del pauperismo, la lamentale, la furbizia (eh sì, anche la
furbizia). Ma anche lui sbatte contro un muro inscalfibile.
In filigrana, va osservato che Orsina
misura il berlusconismo con J.S.Mill e Karl Popper. Cioè con la sinistra
libertaria che si rifiuta, che l’Italia – il blocco, il muro – rifiuta. Più che
una critica del berlusconismo, un’imputazione di fallimento, la sua ricerca ne
fa “oggettivamente” l’esito di un’insufficienza della sinistra. Di una sinistra
che si vuole immutabile per non riconoscersi decrepita, ipocrita, faziosa – “sovietica”
(fascista?).
Giovanni Orsina, Il berlusconismo nella storia d’Italia, Marsilio, pp. 239 € 19,50
Nessun commento:
Posta un commento