sabato 10 agosto 2013

Geniali, litigiosi, Weil

“Oh, che sciagura d’essere senza coglioni!” Così, con l’italiano della Vecchia Donna di Voltaire al cap. 11 del “Candido”, il relitto André commisera la figlia Sylvie, senza il cui sostegno non può fare un passo. Ma non diverte molto questa “famiglia Weil”: André e Simone sì, sembra che si divertissero, per molti indizi e qualche foto, Sylvie no. Il suo André è un egotista, sfrenato. Simone una fredda antisemita. Forse contro la volontà di Sylvie, figlia di André e nipote di Simone, ma questo è quello che si legge: il ritratto familiare (in traduzione presso Lantana) è desolante. Fino alle liti, con processi in tribunale, tra André e i genitori sull’edizione postuma di Simone. Notizia che Sylvie contiene in un paio di pagine, ma non può tacere di dire che dopo la morte di Simone André ne contestò l’eredità letteraria ai genitori, anche in tribunale, impedendo loro di vedere la “loro” nipote-sosia Sylvie – una vicenda che porterà presto alla morte “Biri”, il padre, l’amato nonno.
Due rognosi?
Il ritratto familiare è desolante soprattutto di Simone. Imbranata, forse ebete, perfino opportunista, un po’ folle. Viziata dai genitori, che coprivano ogni suo capriccio. Come ospitare in casa un ladro, che poi li deruberà. Una che voleva il fucile in Spagna senza avere mai sparato. E voleva farsi  paracadutare in Francia in guerra, così per gioco, come andare sulle giostre. Senza nemmeno sapere che fare poi in Francia, ammesso che non si fosse spezzate le gambe. Al meglio fuori dalla realtà: “Simone non pensava alle persone quali erano”. Non ebbe mai un pensiero per gli ebrei perseguitati – questo non è vero. Se fa qualcosa di buono, è per una mentalità ereditata. Simone Weil vista dispettosamente come (non) ebrea, è un’idea. Ma senza convincere.
Se e come salvare Simone dall’apostasia è, in positivo, alla fine, lo scopo di Sylvie, che sta imparando  l’ebraico e fa studi di ebraismo. Il padre le confida, prima di morire: “Fai quello che mia sorella avrebbe finito per fare, perché era onesta, nell’insieme”. Nell’insieme è stata dunque disonesta, essendo morta prima del tempo?
La reliquia della santa
Qualche motivo di dispetto Sylvie lo ha. Essendo cresciuta, a ogni istante della sua vita, in famiglia, a scuola, in società, negli amori, all’ombra della zia, cui pure somiglia. Si può dire anzi che sia nata in sostituzione. L’ultima lettera di Simone ai genitori lo diceva, come si conviene a una santa: “Avrete ora un’altra fonte di riconforto”, riferendosi alla nipotina di pochi mesi, e alla sua prossima morte, alla sua voglia di morire. Non è stato semplice: si può essere eredi di una dinastia di attori, musicisti, pittori, dentisti, avvocati, mobilieri, ma di una santa? La reliquia di una santa, si dice mesta Sylvie. Ne ha fatto una storia anche commovente in qualche punto, nella generale aridità: i tanti in cui le tocca essere la nipote sosia di una santa filosofa. Nonché figlia di un genio, matematico e quindi astratto, che non saprà mai in cinquant’anni dov’è la zuccheriera, nemmeno l’acetoliera.
Padre e zia Sylvie evoca come due fantasmi potentissimi a ogni piega della sua propria vita, ingombranti. A partire dai suoceri e i cognati, che non la vogliono assolutamente imparentata con Simone Weil, rinnegata, battezzata, antisemita e quant’altro. O dai suoi vent’anni anni a Parigi, quando scriveva il greco “come Demostene”, a giudizio degli ellenisti della Sorbona, ma la sua propria ambizione di ellenista fu troncata dal professore molto bene intenzionato che per proporre una tesi le chiese: “Allora, sarà Platone come sua zia, o Diofante come papà?” Così, con piglio narrativo – Sylvie è di suo letterata e narratrice.
Dov’è la zuccheriera?
Simone stessa fu costantemente preoccupata, seppure per un periodo breve, pochi mesi, del futuro destino della nipote, al fratello e ai genitori raccomandandone il battesimo, per allargare le chance di un buon matrimonio – i filosofi sono così nella vita pratica, sull’esempio di Platone? Dalla numerosa corrispondenza in materia Sylvie arguisce che la zia era infine a favore del battesimo cattolico, che non sarebbe stato considerato d’impedimento a un innamorato protestante.
Sotto il titolo “apprendistato” si pubblicano i ricordi, in realtà, di vita e passione scientifica di un matematico innovativo e insigne, non ultimo per essere stato il fratello maggiore di Simone Weil, nonché specialista di latino, greco e sanscrito. Da lui riordinati in tarda età, nel 1991, facendo largo spazio agli anni avventurosi, quelli della guerra. Che lo vide in Finlandia accusato di essere un spia di Mosca al momento della tentata invasione sovietica, nel 1939. Obiettore alla leva in Francia nel settembre 1939, fu arrestato a Helsinki come spia russa e condannato alla fucilazione. Poi trasferito, sempre in prigione, in Svezia, Danimarca, Inghilterra, e in Francia a Le Havre, fine gennaio 1940. Processato e condannato per renitenza a giugno, evitò la condanna portandosi volontario per il fronte. Smobilitato dopo poche settimane alla disfatta, finirà in un campo di transito in Gran Bretagna, in attesa di emigrare negli Usa. Indesiderato in Francia anche dopo la guerra, in quanto obiettore-renitente, lavorò un paio di anni in Brasile, e poi negli Usa, a Princeton. Ma i “Ricordi” si chiudono con la Bomba di Hiroshima, 1945, la sconfitta della scienza.
Di prima della guerra André ricorda il Gruppo Bourbaki, “pseudonimo collettivo”, annota  Sylvie in “Chez les Weil”, e nome del matematico immaginario Nicolas Bourbaki, gran professore in Poldavia, paese anch’esso  immaginario”, per innovare linguaggio e temi della ricerca,da lui fondato a trent’anni con altri matematici. Un uomo mai deludente: “Negli ultimi decenni della sua vita, aveva deciso che invece di deprimersi, come alcuni suoi vecchi colleghi, tentando di fare matematica con un cervello meno agile, si sarebbe riciclato – si esprimeva così”. E si rivoltò storico della matematica.
Due vite, tre, nella disgrazia esemplari per forza e capacità. Weil sono i Levi d’Alsazia anagrammati al tempo di Napoleone, dell’abolizione delle interdizioni israelitiche come invito all’assimilazione. In un ambito culturale, conviene ricordare anche per inquadrare le due figure di André e Simone, non conflittuale. Al Gran Sinedrio che Napoleone volle a Parigi nel 1807, nella chiesa sconsacrata di san Giovanni, il primo dopo la caduta di Gerusalemme nel 70, i convenuti, 71 rabbini e intellettuali ebrei, votarono il primo giorno un ringraziamento alla chiesa di Roma per avere sempre protetto le comunità nei luoghi da essa amministrati, in Francia in Avignone e nel Contado Venassino.
André Weil, Ricordi di apprendistato, Castelvecchi, p. 223 €
Sylvie Weil, Chez les Weil, André et Simone, Libretto, pp. 210 € 9

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