Muoiono
gli africani e gli asiatici “come mosche” sulle coste di Sicilia e di Calabria.
Ma senza fatalità, per un business. Che dire infame è dire poco, il business
dei deportati.
I
migranti, come ipocritamente vengono definiti con furbo neologismo, sono tutta
gente che deve vendere a poco il poco che ha, e spesso indebitarsi, per venire
in Europa. Per venire a morire – si sopravvive per caso. S’indebita talvolta
con gli stessi corrieri. Che sono malfattori ma non sono soli. Hanno complici
in Italia nel malaffare. Non si spiega altrimenti come dai porti di Turchia e
di Siria si arrivi sempre a Crotone – non è facile, specie ai barchini o le carrette del mare. E
hanno complici, anche se non volenti, le organizzazioni cosiddette umanitarie
che si moltiplicano per l’“accoglienza” – accoglienza è parola chiave.
Cosiddette
perché non hanno nulla di volontario, se non l’impegno non retribuito dei
molti: sono associazioni e organizzazioni nate per “gestire” i fondi europei
per l’accoglienza. Mettendo a frutto vecchi casolari e alberghi fatiscenti, e
fornendo ranci acidi, a fronte del contributo europeo per l’“accoglienza”.
Il
“dramma” dell’immigrazione è un business. Che dà il segno dell’imbarbarimento
dell’Europa. E dell’ipocrisia dei vescovi, della chiesa, che il business copre
con le buone parole. Una vera “accoglienza” comincerebbe a casa dei deportandi,
con l’informazione, con la regolazione dei flussi, con le campagne annuali di
visti legali, con trasporti non esosi.
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