domenica 11 agosto 2013

Il business infame dell’immigrazione

Muoiono gli africani e gli asiatici “come mosche” sulle coste di Sicilia e di Calabria. Ma senza fatalità, per un business. Che dire infame è dire poco, il business dei deportati.
I migranti, come ipocritamente vengono definiti con furbo neologismo, sono tutta gente che deve vendere a poco il poco che ha, e spesso indebitarsi, per venire in Europa. Per venire a morire – si sopravvive per caso. S’indebita talvolta con gli stessi corrieri. Che sono malfattori ma non sono soli. Hanno complici in Italia nel malaffare. Non si spiega altrimenti come dai porti di Turchia e di Siria si arrivi sempre a Crotone – non è facile,  specie ai barchini o le carrette del mare. E hanno complici, anche se non volenti, le organizzazioni cosiddette umanitarie che si moltiplicano per l’“accoglienza” – accoglienza è parola chiave.
Cosiddette perché non hanno nulla di volontario, se non l’impegno non retribuito dei molti: sono associazioni e organizzazioni nate per “gestire” i fondi europei per l’accoglienza. Mettendo a frutto vecchi casolari e alberghi fatiscenti, e fornendo ranci acidi, a fronte del contributo europeo per l’“accoglienza”.
Il “dramma” dell’immigrazione è un business. Che dà il segno dell’imbarbarimento dell’Europa. E dell’ipocrisia dei vescovi, della chiesa, che il business copre con le buone parole. Una vera “accoglienza” comincerebbe a casa dei deportandi, con l’informazione, con la regolazione dei flussi, con le campagne annuali di visti legali, con trasporti non esosi.

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