È il prezzo della corruzione diffusa. È il
prezzo della cosiddetta seconda Repubblica, l’antipolitica che ha “liberato” la
corruzione abolendo i partiti. Al coperto di una scienza politica indigente,
che non ha ancora capito che la funzione dei partiti non è il potere ma la
selezione e il controllo del personale politico - il controllo reciproco fra
gli aderenti, che è il più efficace. Sotto le insegne, beffarda, della giustizia
o della questione morale, che in Italia sono gli incubatori veri della
corruzione: impunita, e anzi protetta.
Il fatto è che il debito pubblico era nel 1991 di
840 miliardi di euro. Dopo aver modernizzato l’Italia, superato gli shock
petroliferi con l’inflazione al 20 per cento del 1973-74 e del 1979-1980, e
combattuto una guerra civile, contro il terrorismo e la mafia di Riina. La “seconda
Repubblica” ha acceso nuovo debito per 1.200 miliardi. Pur avendo venduto
(privatizzato, liberalizzato) beni pubblici per 160 miliardi. Non incoraggiando
e anzi scoraggiando l’economia, che da vent’anni ristana ed è comparativamente
in contrazione: senza investimenti (produttività) e senza più reddito. Avendo
dilapidato la propensione al risparmio, che era la più alta al mondo. Pur
avendo beneficiato per un decennio dei bassi tassi d’interesse euro.
Non si saprebbe fare la somma delle infezioni
della “seconda Repubblica”. La giustizia infetta. La funzione pubblica
punitiva. La formazione (scuola, università) inutile. E, al meglio, i salvatori
alla Monti, che curano il debito con le tasse
Nessun commento:
Posta un commento