Avola
– Oggi
prospera, innovatrice nell’agroindustria, è stata a lungo sinonimo di povertà,
per essere stata teatro dell’ultima
esercitazione militare dello Stato italiano contro i poveri. Nel 1968, alla
fine dell’anno, della lunga stagione libertaria che rivoluzionò l’Italia. Con
tiro a raffica. Non di notte, nella confusione, tra le ombre, ma alle due del
pomeriggio. Il giorno di santa Bibiana, un lunedì, dopo la prima domenica
dell’Avvento. Contro una manifestazione non diversa dalle altre, sulla S.S.
115, la strada per la marina, d’inverno, partecipi le mogli e i figli. Per il
contratto dei braccianti. Il tempo di drizzare le orecchie, nella confusa
protesta, e una trentina di villani erano a terra con molti proiettili, alcuni già
morti – due per l’esattezza, ma alcuni dei 48 feriti furono ricoverati in condizioni
gravi. La polizia usò il moschetto 91, le Beretta 9 e 7,65, il mitra Mab.
Al comando delle operazioni c’era
il commendator D’Urso, un prefetto. Il commendatore, pio, lasciò passare la
domenica dell’Avvento, che apre l’attesa del Natale, e lunedì, fatta indossare
al vicequestore Camparini, nominato “comandante dell’operazione”, la fascia
tricolore, e dati i tre squilli di tromba, fece tirare a volontà contro la
plebaglia. “Il blocco deve sparire”, intimò il commendatore, che aveva
esperienza di braccianti, già tre anni prima li aveva fatti sparare a Lentini,
e ad Avola avrebbe voluto pure l’esercito.
Il giorno dopo la mattanza, la
vertenza fu chiusa con piena soddisfazione dei braccianti di Avola: giornata di
sette ore e cinquemila lire di aumento. I socialisti, tornati da poco al
governo, vi radicheranno lo Statuto dei lavoratori, senza eccessive obiezioni,
esattamente un anno dopo. Non una manovra politica, dunque, al governo c’era il
centro-sinistra. Era il modo d’essere dello Stato, e di più della Repubblica.
Avola s’identifica per essere
prossima a Cassibile, il luogo dove il 3 settembre 1943 il generale Castellano
firmò la resa dell’Italia agli Alleati, annunciandola l’8 settembre. Data
d’inizio della nuova Italia dopo il fascismo. Cassibile prende il nome da un
breve corso d’acqua, il Kalyparis degli antichi greci, presso il quale il
generale Demostene, con seimila ateniesi che si ritiravano lungo la via
Elorina, dovette arrendersi nel 413 ai siracusani. Di onorata storia,
testimoniata dall’antico borgo, manomesso dal terremoto del 1693, e dai palazzi
ricostruiti con le chiese nel Settecento, ricca di colture per il combinato di
acqua e sole in quella zona della Sicilia, tra Siracusa e Pachino, che si pensa
corrosa dalla siccità, e di mieli di lunga vita profumati.
Braccianti e agrumari erano molti
sulla terra ferace, trentaduemila nel territorio di Siracusa, ed erano poveri, sporchi, analfabeti i più, incapaci di
esprimersi, se non nella loro lingua contratta, in cui ogni suono, ogni mossa
sottintende millenni di soggezione, malgrado l’importanza della loro funzione
di coltivatori di primizie. La Sicilia presenta ancora questa mescolanza di
opulenza, anche culturale, e estrema indigenza delle articolazioni mentali e
linguistiche.
Il ministro dell’Interno Restivo li
conosceva, essendo siciliano, sapeva che erano molti ma non sapevano contare.
Che l’indigenza era cresciuta col terremoto che aveva aperto l’anno, morale e
civile più che economica. Alla vigilia un altro siciliano, l’onorevole Scelba,
presidente della Dc, aveva dettato condizioni dure al ritorno dei socialisti al
governo dopo quello balneare dell’onorevole Leone. Il governo dispose poi la
rimozione del questore, Politi. Ma calcolato era, e resta il fonogramma del
ministro al commendator D’Urso: “Lo Stato non può cedere alla violenza”.
Giustizia - Un referendum contro l’errore
giudiziario sembra una prevaricazione. Nell’attuale “sistema” giudiziario sì,
in una qualsiasi forma di giustizia no. L’errore giudiziario non è un errore: è
prepotenza. L’errore è prodotto dall’ira, l’errore giudiziario è frutto del
pregiudizio. Si concretizza in lunghi, ripetuti, noiosi anche, giorni, mesi,
anni di indagini e di cattiva coscienza, contro un solido principio: prima la
colpevolezza, prima le prove della colpevolezza. Ci siamo disabituati, in un
ventennio di mala giustizia, la mala pianta lombarda (ma era cominciata prima,
con le stragi, la sopraffazione va per il mezzo secolo), a una giustizia prevaricatrice,
che fa a meno di provare la colpevolezza – o di sanzionarla quando è provata.
Non
c’è in diritto, oltre che in coscienza, altro itinerario di giustizia ma in
Italia basta una soffiata a un giornale. In questa Italia ambrosiana che ci
distrugge, tra finti mercati e reali soprusi. E quando non si sa che prove
produrre, basta la formula “non poteva non”, ancora recentemente usata, per
sanzionare. Come dire che un giudice “non può non” prevaricare? No, solo dopo
aver demolito la vittima designata con la cosiddetta “opinione pubblica”. Cioè
con la soffiata al giornale fidato, anzi al cronista giudiziario fidato, ogni
giudice ne ha uno di fiducia: questa giustizia è come la mafia, affare di
amici, e amici degli amici.
Internet – Google mi
divide ora la posta in primary (personale), sociale e promozionale. E non sbaglia.
Senza leggerla. Fantastico. È la materializzazione della Spectre: sa tutto di
noi, senza testimoni, pentiti, delatori.
Islam - L’islam
è vittima di se stesso, della lettera, dell’interpretazione autentica, di una
filosofia politica ormai vecchia di otto secoli, e anzi di più. Per cui si può
dire che non conosce la democrazia, non ne ha la parola. Che non ha nemmeno il
popolo. Che non conosce la laicità, non ne ha il concetto. Mentre invece, come
tutti, ci era arrivato: per gradi, per errori, con ripensamenti.
Sarà pur vero che non c’è nell’islam distinzione tra Stato e chiesa, ma
perché non c’è chiesa nell’islam. Mentre c’era, e c’è, distinzione tra secolare
e religioso, benché Lewis dica di no. È stato Khomeini a restaurare questa
unità vecchia di un oltre un millennio, anche se aveva qualche antecedente
nell’islam duodecimano. Non c’è teocrazia nel mondo islamico, questo Lewis lo
spiega bene. Ma non è vero che non ci può essere dispotismo: sotto la forma
moderna e ben più ampia del totalitarismo Khomeini l’ha introdotto. Questo era
il timore costante di Alessandro Bausani, il pio e dotto iranista, già nel
1978, quando il fenomeno khomeinista cominciò a manifestarsi dalla Francia, e
quando Bausani è morto, nel 1988, aveva avuto tristemente ragione.
Tutto il mondo islamico, soprattutto quello non arabo, non tribale, era
avanti sulla strada della democrazia: se c’era un’area dove la democrazia
attecchiva, all’infuori dell’Occidente e dell’India, era il mondo islamico, in
Turchia, Pakistan, Indonesia, lo stesso Iran, e germogli se ne vedevano in
qualche paese arabo – in tutto il Maghreb malgrado i regimi personali.
L’islam è peraltro religione egualitaria, senza caste, aristocrazie,
gerarchie. Ma, è vero, se rifiuta il privilegio, impone la disuguaglianza, tra
padrone e schiavo, tra uomo e donna, tra mussulmano e non.
Repubblica
del lavoro
– Non è un pleonasmo, né il wishful
thinking che sembra: è un obbligo
che la Repubblica a lungo non ha osservato. Nei suoi primi vent’anni col tiro
ai lavoratori, nei secondi con le trame, nei terzi vent’anni col mercato
(licenziamenti a milioni), e il mercato della giustizia.
Un conteggio dei
primi vent’anni, a fine 1968, registrava 417 morti per mano di polizia e
carabinieri in servizio di ordine
pubblico contro lavoratori in sciopero, o in manifestazioni per il contratto.
In vent’anni ne aveva ammazzati più la Repubblica che il fascismo. La
repubblica confessionale, timorata di Dio. E non aveva ucciso i nemici
politici, gli oppositori, ma sudditi leali, sindacalisti, braccianti, operai.
Il paragone non
è irriverente come sembra. Il fascismo era tirannico, la Repubblica no, ma
questa è rispettivamente un’attenuante e un’aggravante, e non il contrario: il
fascismo era il fascismo, la Repubblica invece ha ucciso i poveri. Contro la
costituzione, il sindacato, i diritti dell’uomo. Nel fascismo c’era almeno una
dialettica, tra regime e opposizione, padroni e lavoratori.
La vocazione autoritaria è agli albori della Repubblica. I soldati spararono, caduto Mussolini, contro chi chiedeva la pace e chi scioperava. Non i soldati di Mussolini, quelli di Badoglio e del re. In una settimana, tra il 27 luglio e il 3 agosto, fecero 76 morti, 146 feriti censiti, e mille arresti. La democrazia si è installata in Italia tornando alla tradizione antiproletaria sabauda. Mussolini non aveva mai osato tanto.
La vocazione autoritaria è agli albori della Repubblica. I soldati spararono, caduto Mussolini, contro chi chiedeva la pace e chi scioperava. Non i soldati di Mussolini, quelli di Badoglio e del re. In una settimana, tra il 27 luglio e il 3 agosto, fecero 76 morti, 146 feriti censiti, e mille arresti. La democrazia si è installata in Italia tornando alla tradizione antiproletaria sabauda. Mussolini non aveva mai osato tanto.
astolfo@antiit.eu
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