Il romanzo
in Germania gemma nella seconda metà del Settecento, in ambito pietista. Di un
luteranesimo cioè vicino al quietismo cattolico di Jeanne Guyon – come poi sarà
dello”spirito del capitalismo” di Max Weber. Nasce di proposito, per mettere la
Germania al passo con le altre letterature. In una col tentativo di creare
anche un teatro tedesco, fin’allora inesistente. Autore Wieland, il primo
traduttore tedesco di Shakespeare, con la “Storia di Agatone”, 1766-7, che
Lessing dichiarò “il primo e solo romanzo per una testa pensante di gusto
classico”. La duplice funzione fu assunta poi da Goethe, che suppliva al
pietismo con la formazione classica e il gusto umanistico, insieme col sodale
Schiller. Ne farà materia del suo secondo romanzo, dopo il “Werther”, anzi di
un ciclo di romanzi.
Goethe
avvia il ciclo seguendo la formazione di un giovane spirito appassionato di
teatro, Wilhelm Meister. Seguendone cioè gli anni di formazione, l’adolescenza
e la prima giovinezza. Non ancora il romanzo di grande respiro, che è sempre
quello di una vita, di più vite, ma già caratterizzato. Il che in ambiente
luterano e calvinista – il cattolicesimo conta poco nella letteratura tedesca –
era pur sempre un’innovazione: l’introduzione del destino individuale nel
destino. Il primo libro del ciclo era anche la perorazione di un “teatro
nazionale”: Goethe lo intitolò “La vocazione teatrale di Wilhelm Meister” per
analogia col titolo di una poesia, “La vocazione teatrale di Hans Sachs”, che
aveva consacrato nel 1776 al grande poeta popolare tedesco del Cinquecento. Un
“romanzo comico” nel senso di Scarron, un romanzo sul teatro.
Si spiega: coetaneo del romanzo è in
Germania il teatro. Goethe, prima che poeta è stato e si voleva commediografo e
drammaturgo – il “Werther”, benché subito famoso, era stato un caso. Il romanzo
del teatro non è lettura esilarante, e anzi piuttosto noiosa, che solo
l’identificazione con l’autore salva: Wilhelm è, in piccolo, un alter ego di
Goethe, l’accompagna per tutta la vita attiva. Dapprima con la “Vocazione
teatrale”, negli anni 1770-1780, che sono anche quelli degli appelli per un
Teatro nazionale tedesco, dopo la scoperta di Shakespeare. Quindi, dopo un
ventennio, con questo “Apprendistato”, 1795-1796, a seguito del viaggio di
Goethe in Italia, della Rivoluzione francese, e del rapporto con Schiller, che
gli cambiò molte delle carte. Wilhelm è giovane, ama il teatro, e vuole fare l’attore e
il regista. La famiglia l’accontenta, Wilhelm può disporre di un teatro di
burattini, e con esso si addentra nella “via della perfezione”, direbbe un
buddista, sposando la verità e la finzione. Nel terzo volume, siamo già agli
anni 1821-1829, gli “Anni di viaggio”, tradotto solitamente “Anni di
pellegrinaggio”, Wilhelm è adulto, è medico, professione a mezzo della quale
coniuga meglio realtà e finzione, ha un figlio, e lo porta a imparare il mondo
nel paese di Mignon – “Conosci la terra dove il limone….”, la ballata di Mignon
che impreziosisce la “Vocazione teatrale”. Questo terzo libro è una serie di considerazioni senza più nemmeno la cornice
romanzesca, se non per lo svolgimento delle argomentazioni in Italia.
Un romanzo “storico” lungo, da 1.500
pagine. Ma nel senso della storia della letteratura. La “Vocazione teatrale” ne
era imbevuta. “Gli anni di apprendistato”, dopo l’esperienza pratica - di vita,
di sensi e di spirito - in Italia sono un po’ più scettici. Succede a molti,
dirà lo stesso Goethe ultrasettantenne negli “Annali”, d’imbarcarsi in
avventure a loro estranee, per le quali non sono dotati, e tanto più per questo
– è l’incapacità che crea l’errore. Succede anche di persistere “in una stessa
direzione” sbagliata. Ma può anche succedere come a Saul figlio di Qish della
Bibbia (nel “Libro di Samuele”), Goethe fa dire all’ultima battuta da Frederick
a Wilhelm, “che era partito per cercare le asine di suo padre e trovò un
regno”.
Il Teatro
Nazionale si afferma nel secondo Settecento. È l’idea di Lessing a Amburgo, il
cui Senato di ricchi mercanti volentieri glielo pagò. Durò solo un anno, il
1767. Nel 1776 ne creò uno Giuseppe II a Vienna. L’idea prenderà realmente
piede nel 1779 a Mannheim: il teatro a cui collaborerà Schiller. Berlino si
doterà di un Teatro con grandi ambizioni nel 1786, che poi affiderà al
prolifico drammaturgo Iffland, proveniente da Mannheim. Nel 1791 toccherà
infine a Goethe, già drammaturgo affermato, che ne aveva da tempo l’ambizione,
di crearne uno a Weimar, su richiesta del duca, stancandosene presto.
Wolfgang
Goethe, Gli anni d’apprendistato di
Wilhelm Meister, Oscar, pp. XXXII-680 € 12
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