venerdì 9 agosto 2013

La Germania in cerca di romanzo, e di teatro

Il romanzo in Germania gemma nella seconda metà del Settecento, in ambito pietista. Di un luteranesimo cioè vicino al quietismo cattolico di Jeanne Guyon – come poi sarà dello”spirito del capitalismo” di Max Weber. Nasce di proposito, per mettere la Germania al passo con le altre letterature. In una col tentativo di creare anche un teatro tedesco, fin’allora inesistente. Autore Wieland, il primo traduttore tedesco di Shakespeare, con la “Storia di Agatone”, 1766-7, che Lessing dichiarò “il primo e solo romanzo per una testa pensante di gusto classico”. La duplice funzione fu assunta poi da Goethe, che suppliva al pietismo con la formazione classica e il gusto umanistico, insieme col sodale Schiller. Ne farà materia del suo secondo romanzo, dopo il “Werther”, anzi di un ciclo di romanzi.
Goethe avvia il ciclo seguendo la formazione di un giovane spirito appassionato di teatro, Wilhelm Meister. Seguendone cioè gli anni di formazione, l’adolescenza e la prima giovinezza. Non ancora il romanzo di grande respiro, che è sempre quello di una vita, di più vite, ma già caratterizzato. Il che in ambiente luterano e calvinista – il cattolicesimo conta poco nella letteratura tedesca – era pur sempre un’innovazione: l’introduzione del destino individuale nel destino. Il primo libro del ciclo era anche la perorazione di un “teatro nazionale”: Goethe lo intitolò “La vocazione teatrale di Wilhelm Meister” per analogia col titolo di una poesia, “La vocazione teatrale di Hans Sachs”, che aveva consacrato nel 1776 al grande poeta popolare tedesco del Cinquecento. Un “romanzo comico” nel senso di Scarron, un romanzo sul teatro.
Si spiega: coetaneo del romanzo è in Germania il teatro. Goethe, prima che poeta è stato e si voleva commediografo e drammaturgo – il “Werther”, benché subito famoso, era stato un caso. Il romanzo del teatro non è lettura esilarante, e anzi piuttosto noiosa, che solo l’identificazione con l’autore salva: Wilhelm è, in piccolo, un alter ego di Goethe, l’accompagna per tutta la vita attiva. Dapprima con la “Vocazione teatrale”, negli anni 1770-1780, che sono anche quelli degli appelli per un Teatro nazionale tedesco, dopo la scoperta di Shakespeare. Quindi, dopo un ventennio, con questo “Apprendistato”, 1795-1796, a seguito del viaggio di Goethe in Italia, della Rivoluzione francese, e del rapporto con Schiller, che gli cambiò molte delle  carte. Wilhelm è giovane, ama il teatro, e vuole fare l’attore e il regista. La famiglia l’accontenta, Wilhelm può disporre di un teatro di burattini, e con esso si addentra nella “via della perfezione”, direbbe un buddista, sposando la verità e la finzione. Nel terzo volume, siamo già agli anni 1821-1829, gli “Anni di viaggio”, tradotto solitamente “Anni di pellegrinaggio”, Wilhelm è adulto, è medico, professione a mezzo della quale coniuga meglio realtà e finzione, ha un figlio, e lo porta a imparare il mondo nel paese di Mignon – “Conosci la terra dove il limone….”, la ballata di Mignon che impreziosisce la “Vocazione teatrale”. Questo terzo libro è una serie di considerazioni senza più nemmeno la cornice romanzesca, se non per lo svolgimento delle argomentazioni in Italia.
Un romanzo “storico” lungo, da 1.500 pagine. Ma nel senso della storia della letteratura. La “Vocazione teatrale” ne era imbevuta. “Gli anni di apprendistato”, dopo l’esperienza pratica - di vita, di sensi e di spirito - in Italia sono un po’ più scettici. Succede a molti, dirà lo stesso Goethe ultrasettantenne negli “Annali”, d’imbarcarsi in avventure a loro estranee, per le quali non sono dotati, e tanto più per questo – è l’incapacità che crea l’errore. Succede anche di persistere “in una stessa direzione” sbagliata. Ma può anche succedere come a Saul figlio di Qish della Bibbia (nel “Libro di Samuele”), Goethe fa dire all’ultima battuta da Frederick a Wilhelm, “che era partito per cercare le asine di suo padre e trovò un regno”.
Il Teatro Nazionale si afferma nel secondo Settecento. È l’idea di Lessing a Amburgo, il cui Senato di ricchi mercanti volentieri glielo pagò. Durò solo un anno, il 1767. Nel 1776 ne creò uno Giuseppe II a Vienna. L’idea prenderà realmente piede nel 1779 a Mannheim: il teatro a cui collaborerà Schiller. Berlino si doterà di un Teatro con grandi ambizioni nel 1786, che poi affiderà al prolifico drammaturgo Iffland, proveniente da Mannheim. Nel 1791 toccherà infine a Goethe, già drammaturgo affermato, che ne aveva da tempo l’ambizione, di crearne uno a Weimar, su richiesta del duca, stancandosene presto. 

Wolfgang Goethe, Gli anni d’apprendistato di Wilhelm Meister, Oscar, pp. XXXII-680 € 12

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