“Addio a Berlino”, 1939, è l’ultimo racconto
della trilogia sulla capitale allora della libertà sessuale, le “Storie di
Berlino”, dopo “Mr Norris se ne va” (1935) e “Sally Bowles” (1937).
Isherwood, ricco inglese, ma in rottura con la famiglia sull’omosessualità, fu
attratto poco più che ventenne da Berlino, dove vivrà cinque anni, fino al
1933, insegnando l’inglese, tra amanti fissi e irregolari. Dapprima accompagnato
nelle cacce da Stephen Spender, il poeta di molte cause impegnate, all’epoca
più bello di lui e più liberamente gay.
La trilogia si legge come una memoria
allegra, benché scritta con Hitler al potere e la guerra imminente per tutti.
Si leggeva ancora così negli anni 1960, sotto l’influsso di “Cabaret”, il
musical che ne fu tratto con Liza Minnelli, poi film di grande successo di Bob
Fosse. Oggi malinconica, giusto il diario di uno smanettatore felice di fusti
operai e sottoproletari, nei club e fuori.
Christopher Isherwood, Addio a Berlino,
Adelphi, pp. 252 € 18
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