“Pueti senza mpegnu, vi salutu”. Pasolini,
entusiasta, dice Buttitta “un buon poeta”. Contini, freddo, se ne senti
trasportato come con Jacopone “nel magma del suo incendio”. L’antologia critica
del poeta, morto quasi centenario nel 1997, è molto nutrita e entusiasta. Salvo
le riserve: l’impegno politico prevalente, la cantabilità, la facilità di
metrica e di rima del cantastorie, qual era stato e si professava. Da narratore
in piazza, seppure non di cavalieri e amori ma di questioni sociali. Per
Pasolini Buttitta era l’immagine del poeta, anche fisica, nella figura, la
dizione, la gesticolazione – che forse lui non apprezzava.
Questa riproposta fa invece intravedere un poeta
diverso. Siciliano certamente come vogliono i suoi curatori, è nato e vissuto
in Sicilia, si esprime in dialetto. Ma non più di tanto, che altro vuol dire
“siciliano”? Buttitta non ha temi folkloristici né tradizionalisti, o
gingoisti. “La peddi nova” è la sua prima raccolta dopo l’incontro col Partito:
con Pasolini, Répaci, Zavattini, Vittorini, Guttuso, Quasimodo. Ma è anche la
sua “Vita nova”. Qui abbandona le stanze e la cantabilità, per una serie di
immagini ancora feconde, seppure rincorrendo apologeticamente i temi politici e
sociali del momento. Altre amicizie ne tenevano desta la lingua e la fantasia, con
Mario Soldati, Cocchiara, Carlo Levi, Debenedetti - e col solito Bassani cui si deve il meglio del secondo Novecento, che la raccolta pubblicò cinquant'anni fa da Feltrinelli. Senza perdere il gusto degli
“Straffetti e canzuni”, molti dei quali riesuma. Compreso l’inno a “Sariddu lu
Bassanu”, fascista e italiano, al ritmo di Gano di Maganza – o di Magonza. In
effetti Ignazio Buttitta era uno spirito forte, molto teatrale, ma non strafatto
né superficiale, spontaneista ma capace di lavorare l’espressione. Il libro,
senza l’ombra sua grande, ne fa fede.
Ignazio Buttitta, La peddi nova, Sellerio,
pp. 216 € 14
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