L’anno scorso, ne “Il vecchio che avanza”,
Walter Pedullà aveva scoperto che il Novecento non esiste. Era – è – il suo
secolo e s’è preoccupato. Lo aveva scoperto a
Palermo, a un convegno di giovani al quale era stato invitato. I giovani cioè
non l’avevano detto, perché i giovani tacciono. . Sono critici e autori, Walter
scoprì, che scrivono ma non leggono, e quindi non avevano e non avrebbero letto
il Novecento. E allora s’è impegnato a raccontarlo lui, il Novecento. Che –
sembrerà strano – in questa Italia della Seconda Repubblica, quindi da un
venticinquennio buono, è uscito dalle cronache. Non fa testo. Non se ne parla. Non
se ne fanno bilanci. Nemmeno per condannarlo, in tutto o nelle sue parti. O per
sceverarlo.
Pedullà ha provveduto con
una narrazione aggiornata – farcita a titolo di esempio di vecchi suoi testi. Ce
n’è per tutti, all’insegna della curiosità sempre inesausta alla Giacomo Debenedetti,
il suo maestro nel remoto Novecento. Per i canonici, compreso il “suo” D’Arrigo,
e per Savinio, Zavattini, Campanile, Flaiano, Tozzi, Mazzaglia (chi è
Mazzaglia? è a p. 455). Una
ricerca-ricostruzione molto personalizzata, fuori dai canoni, cronologici o di
poetiche. Segnata dai due umori prevalenti nella lunga, quasi cinquantennale,
militanza critica, come si diceva un tempo, dell’autore: valorizzare il nuovo, rivalorizzare il riso -
il filone burlesco che segnò l’italiano dai suoi inizi, fino a tutto il
Cinquecento (fino alla Controriforma).
I due
umori s’intrecciano. Nella titolazione che scandisce i capitoli e soprattutto
nella scrittura. Sempre eversiva, al limite dell’eccentrico. Sul filo dell’incertezza
invece delle certezze, decostruttiva, inquieta e inquietante. E sempre invece
conclusivamente convincente: l’inquietudine è poi il segno della vita. Per una
celebrazione, infine, del Novecento. Che è stato specialmente vitalistico,
anche in Italia. Un secolo di curiosità e applicazione – la scrittura è
applicazione – che si è voluto inventivo. Per questo contraddittorio a volte, e
anche refrattario alle caselle – molto polivalente.
Pedullà è di suo scrittore
di forti umori, e la sua rivisitazione è soprattutto brillante. Se ne serve per
tenere sempre desta l’attenzione nella lunga narrativa. Che tale è, più che un bilancio critico. Con brusche impennate,
da cavallo di razza. Quella centrale potrebbe essere fertile, la riclassificazione
del Novecento sulle sei “classi di scrittori” di Pound (dai poeti poundiani
traslata ai narratori): innovatore, maestro, diluitore, anonimo o dilettante,
cultore del bello scrivere, maniaco (sperimentalista). È comunque lettura
memorabile – Moravia maestro, come Gadda. O “Il decennio rosso pesa più del
piombo”, post-1968.
Walter Pedullà, Racconta il Novecento. Modelli e storie della narrativa italiana del XX secolo, Bur, pp. 533 €16
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