Nel mondo dopo la Grande Guerra, siamo
nel 1992, polveroso, che sopravvive nella colonizzazione dello spazio, c’è già il problema della spazzatura. Ma ci sono
ancora le copie carbone di carta velina. Dopo l’Ultima Guerra è come nella Seconda, si
dà la caccia a un nemico di razza. Sulla terra gli esseri viventi sono sempre meno,
uomini compresi, sostituiti da androidi, replicanti, perfetti ma senza empatia.
Di cui si fa la caccia.
Una satira fredda, alla “1984” di
Orwell, ma senza più cattiveria, essendo cessata con la guerra nucleare la
lotta tra le potenze. È la vita senza passione, se non quella di uccidere, dei
cacciatori di taglie, di androidi. Una bestiola vera è l’ambizione principale,
ma ce ne sono sempre meno. Le civette per esempio sono estinte. E con loro il malaugurio? Ma di questo
aspetto della cosa Kirk non sembra al corrente, il genere si vuole monotematico
– la fantascienza di cui Kirk voleva liberarsi.
Questa riedizione ha un’introduzione
di Carlo Pagetti e una postfazione di
Gabriele Frasca. Che ci ritrova l’armamentario barocco. La cosa più
sorprendente è che è stato scritto nel 1968 – che negli Usa era stato il 1967,
gli americani si apprestavano a votare il ritorno di Nixon.
Philip K. Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, Fanucci, pp. 252 €
9,90
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