Romeo, di professione avvocato, recupera
infine - oltre a personaggi dimenticati che hanno pagato con la vita, giovani,
il risorgimento - l’idea neoguelfa (giobertiana) dell’unità. Popolare nel
1847-48, specie al Sud: l’opinione moderata era allora più diffusa del
radicalismo mazziniano - che i Savoia poi con Cavour faranno proprio. La rivoluzione
del 1847 a Messina e Reggio si fa nel nome della confederazione e del re di
Napoli. A Napoli, nell’agosto 1847, tutti i liberali del resto vogliono cautela,
solo Domenico Romeo è per la rivolta popolare, e per questo ritorna alla sua
Reggio. Dove dà mandato ai giovani del distretto di Gerace di organizzarla e
proclamarla, il 2 settembre. Ma sempre nel nome della confederazione e di
Ferdinando II.
Sobrio, lo storico dilettante non
commenta, fa parlare i fatti. Dell’esecuzione si limita a dire che il generale
Nunziante volle i condannati “alla pena d morte con il terzo grado di pubblico
esempio, ovvero scalzi, genuflessi e bendati, con le mani legate e con i ceppi
ai piedi”. A opera di “un battaglion composto da quattro divisioni del 6° e due
dell’8° di linea”. Aveva paura che gli scappassero – insorti che non avevano
commesso nessuna violenza? La stupidità borbonica, che si vorrebbe rivalutare,
avendo già liquidato con mezza pagina di De Sanctis sulla vita degli studenti
del Regno a Napoli. Dovevano avere una carta di soggiorno, da rinnovare ogni
mese, “a libido della polizia, mercé regali e mance”, e dovevano ascoltare la
messa e confessarsi ogni domenica – “senza il certificato di avere assistito a
quelle congregazioni, non si era ammessi agli esami”
Domenico Romeo, Precursori dell’unità d’Italia, I cinque martiri di Gerace, Arti
Grafiche Edizioni, pp. 63 € 6
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