martedì 27 agosto 2013

L’altra idea d’Italia, neoguelfa, confederale

Romeo, di professione avvocato, recupera infine - oltre a personaggi dimenticati che hanno pagato con la vita, giovani, il risorgimento - l’idea neoguelfa (giobertiana) dell’unità. Popolare nel 1847-48, specie al Sud: l’opinione moderata era allora più diffusa del radicalismo mazziniano - che i Savoia poi con Cavour faranno proprio. La rivoluzione del 1847 a Messina e Reggio si fa nel nome della confederazione e del re di Napoli. A Napoli, nell’agosto 1847, tutti i liberali del resto vogliono cautela, solo Domenico Romeo è per la rivolta popolare, e per questo ritorna alla sua Reggio. Dove dà mandato ai giovani del distretto di Gerace di organizzarla e proclamarla, il 2 settembre. Ma sempre nel nome della confederazione e di Ferdinando II.
Sobrio, lo storico dilettante non commenta, fa parlare i fatti. Dell’esecuzione si limita a dire che il generale Nunziante volle i condannati “alla pena d morte con il terzo grado di pubblico esempio, ovvero scalzi, genuflessi e bendati, con le mani legate e con i ceppi ai piedi”. A opera di “un battaglion composto da quattro divisioni del 6° e due dell’8° di linea”. Aveva paura che gli scappassero – insorti che non avevano commesso nessuna violenza? La stupidità borbonica, che si vorrebbe rivalutare, avendo già liquidato con mezza pagina di De Sanctis sulla vita degli studenti del Regno a Napoli. Dovevano avere una carta di soggiorno, da rinnovare ogni mese, “a libido della polizia, mercé regali e mance”, e dovevano ascoltare la messa e confessarsi ogni domenica – “senza il certificato di avere assistito a quelle congregazioni, non si era ammessi agli esami”

Domenico Romeo, Precursori dell’unità d’Italia, I cinque martiri di Gerace, Arti Grafiche Edizioni, pp. 63 € 6

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