lunedì 26 agosto 2013

Mozart milanese mancato

Milano, che ha inaugurato l’anno verdiano con Wagner, s’era già dimenticato Mozart. Armando Torno l’aveva ricordato in anticipo sulle presumibili celebrazioni, per il duecentocinquantenario della nascita, nel 2006, al suo modo coltivato e amabile. Un gioiellino. L’argomento e il personaggio si prestavano, Torno riesce a trattarli riesce a trattarli con lo stesso spirito, lieve e malinconico, mozartiano. Ma il suo “Mozart a Milano” è caduto nel nulla, il libriccino resta una sorta di celebrazione privata dello stesso Torno.
Mozart a Milano potrebbe non esserci stato. Tra il 1771 e il 1773 invece vi passò complessivamente, in tre riprese, quasi un anno. Un tempo immenso per la sua irrequietezza e la vita breve. Riconosciuto allora e onorato, anche ufficialmente, malgrado le riserve dell’imperatrice Maria Teresa. Poi dimenticato: Milano ha dimenticato nei primi anni 1970 il bicentenario del Mozart milanese, e trascura le occasioni per ricordarlo, a ogni decennio.
Un futuro in Italia
Leopold Mozart provò a cercare un futuro per la famiglia a lungo in Italia. Soprattutto a Milano. I Mozart vi giunsero per la prima volta a fine 1770. Per la prima rappresentazione, il 26 dicembre, al teatro Regio Ducale, del “Mitridate, re di Ponto”, opera del quattordicenne Wolfgang, con lo stesso ragazzo prodigio al clavicembalo. Libretto di Vittorio Cigna-Sarti, sulla tragedia di Racine, tradotta da Parini. Successo e 22 repliche. A marzo i Mozart erano di nuovo a Salisburgo, dopo essere passati per Torino e altre città – a Padova fu commissionato a Mozart un oratorio, “La Betulia liberata”, l’unico della sua produzione, da parte del principe D’Aragona, don Giuseppe Ximenes. Ma dopo l’estate erano di nuovo a Milano, dove il 22 settembre si rappresentò l’“Ascanio in Alba”, libretto di Parini, per le nozze dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo con Maria Beatrice d’Este. Subito rientrati a Salisburgo, per la successione del vescovo, saranno però a Milano ancora una volta pochi mesi dopo, a ottobre del 1772, per un soggiorno di sei mesi. Wolfgang vi scrisse e rappresentò a terza operina, il “Lucio Silla”, che dopo un primo insuccesso sarà ancora più rappresentata e apprezzata del “Mitridate”.
Si poteva pensare a un Mozart ormai milanese. E invece qualcosa non funzionò. Leopold dovette cercare altrove, per assicurare un posto al figlio. Pensò di poterlo trovare in Toscana, dove altri Asburgo governavano, ma meno legati a Vienna. Nell’attesa del posto a Firenze, Wolfgang compose i cosiddetti “Quartetti milanesi”, e l’“Exsultate, Jubilate”, il mottetto K 165. Alla fine il granduca Leopoldo I non si comportò meglio della zia imperatrice, il mottetto resterà “milanese” come i quartetti, e i Mozart dovettero tornarsene a Salisburgo.
Torno circostanzia i vari soggiorni, e l’esperienza formativa che il quindicenne Mozart ne ricavò. Dagli incontri con operisti di mestiere, col Parini, e col maestro Sammartini, col quale perfezionò la tecnica. Non estraneo alla città, dove fu presto il Maestrino, Volfango Amadeo.
Il mistero del milanese mancato
Il mistero del Mozart “milanese mancato” è in Astolfo, “La morte è giovane”, di prossima pubblicazione, insieme con altri aspetti dei suoi produttivi soggiorni in città:
Il Maestrino entra a palazzo Melzi alla Cavalchina, residenza del conte Firmian. Vi si arriva anche in barca, Milano è stata a lungo porto attivo, le cui acque, poi coperte, respiravano per quanto atrofizzate. Viene dal Regio Ducale, il teatro dove prova opere italiane per grande pubblico. Non è bello, ma non fa niente – sono i tedeschi, romantici, che vogliono statuario l’uomo di genio, e sul cavallo bianco. È un angiolone spiritoso, se è suo il ritratto romano di Blanchet, a Milano amato e protetto. Cucina per lui eccellenti pietanze del suo paese Marianna d’Asti, la salisburghese Mariandl Troger, sorella del segretario del conte, sposata Asti. Sono amorevoli la prima donna Antonia Bernasconi, mezzosoprano, “il Sartorino” Pietro Benedetti, tenore, i castrati Pietro Muschietti e Giuseppe Cicognani, il contralto Anna Francesca Varese - promiscui sono pure i ruoli femminili. Femminella è Farnace, che vuole fare le scarpe al padre Mitridate Eupatore sconfitto da Pompeo e fregargli la giovane fidanzata Aspasia, principessa greca, e per i femminella il Maestrino scrive belle arie.
“Mozart è in città già il Maestrino, genio della libertà nella gioia, contro le tarde proiezioni romantiche, che invece vogliono tormenti. Il La Fontaine della musica, dirà Stendhal, per la naturalezza - Stendhal, il dilettante della melodia all’italiana, seppe snidare valori non registrati dai viennesi, che sono gli esperti. L’ingegno arricchiva Milano, sull’orecchio assoluto della vicina Cremona, gli Stradivari, Monteverdi, gli Amati. Il padre Leopold aveva portato Wolfgang a Milano per fargli una carriera, sulle orme di Giovannino Bach. “In questo paese mi sembra che perfino la membrana dei timpani sia più delicata”, scrisse Joseph-Jérôme de Lalande, che fu in Italia negli stessi anni, “più armoniosa e sonora che nel resto d’Europa”.
“Come metà Europa, Wolfgang era stato a studio dal padre Martini a Bologna. Dove lo incontrò il dottor Burney, che lo ricordava infante a Londra, “il celebre piccolo tedesco Mozart”, uno dei tanti bambini prodigio, ma già decorato dello Speron d’Oro dal papa. La sinfonia invece apprese dal Giovanni Battista milanese, il Sammartini, che dotava il genere di formula tematica e architettura. Suo unico inciampo è il tenore Guglielmo d’Ettore, siciliano già capriccioso, fresco sposo. Che cinque volte in due giorni vuole riscritta l’aria di sortita, cioè di entrata, del “Mitridate”, e infine impone una sua aria di baule, la collaudata melodia di Quirino Gasperini: “Son pentito e non ascolto,\che i latrati del mio cor...”
“Carl Firmian, governatore di Milano per conto di Maria Teresa, amico di Winckelmann e Angelica Kaufmann, che aprì a Brera, splendore dei gesuiti, l’accademia d’arte e la maggiore biblioteca, cui lasciò quarantamila volumi e ventimila incisioni, con le note dell’angelo adolescente, che mandò a scuola dal Sammartini, illeggiadriva la residenza a palazzo Melzi. Burney lo dice “grande personaggio, con tutti gli attributi”. Tra i suoi meriti non minori la scelta della sposa per Giuseppe II, l’erede al trono, nella principessa filosofa Isabella di Borbone Parma, di cui seppe stimare le qualità, in difetto del patrimonio e d’una imperiosa bellezza.
“Il conte Firmian governava a Milano i Verri, il marchese Beccaria, il padre Frisi, il professor Parini, che nominò direttore della “Gazzetta” e poeta del Teatro Ducale, e incaricò di fornire a Mozart tradotto il “Mithridate” di Racine, e per le nozze dell’arciduca Ferdinando con Maria Beatrice d’Este il libretto di “Ascanio in Alba”. “Un tirolese mediocre” lo dicono i Verri, austriacanti filofrancesi, per la nota ambivalenza di Milano. Ma non c’era in Francia una “Storia di Milano” di Pietro Verri, né una amministrazione altrettanto buona. Era impossibile fare buoni soldati degli italiani, il conte lamentava a Vienna, e intendeva disciplinati, ma i milanesi pagavano per questo. Le dame facevano la passeggiata ferme sulle bastardelle, carrozze aperte da cui potevano guardare sedute negli occhi i cavalieri. Facendosi scudo del cavalier servente ereditato dalla Spagna.
“Mozart fu a Milano felice, vi ebbe agi, non incontrerà più tanta generosità e libertà creativa, malgrado il sospetto verso i teutonici urlatori, ringrazierà col toccante, brillante Exultate, jubilate, il mottetto che il sopranista Venanzio Rauzzini s’era portato da Monaco. Ma ebbe interrotta la carriera che il padre divisava dall’imperatrice Maria Teresa, la quale, alla data catastrofica del 12 dicembre, nel ‘71 scrisse al figlio Ferdinando, l’arciduca celebrato col fastoso “Ascanio”: “Mi chiedi di assumere al tuo servizio il giovane di Salisburgo. Non so perché, non credo tu abbia bisogno di gente inutile. Se ti fa piacere, non voglio impedirti di farlo. Quello che voglio dire è di non caricarti di gente inutile”. Si sa che gli austriaci sono oculati amministratori. L’imperatrice era stata ragazza musicista e cantante. Ma la musica a volte suona afona... Aveva conosciuto Wolfgang bambino, ogni tanto riceveva padre e figlio, e non li apprezzava: “Girano il mondo come mendicanti e discreditano il servizio”, ammonì il figlio.
“La recensione di Parini al “Mitridate” riconosce, dopo i timori di una “barbara musica tedesca”, che “il giovine Maestro di Cappella studia il bello della Natura, e ce lo rappresenta adorno delle più rare grazie musicali”. Mozart ebbe successo all’opera, cui più ambiva, solo in Italia. Per “Mitridate” ebbe a quattordici anni un’orchestra di sessanta elementi e fama internazionale. Con “Ascanio in Alba” batté in coppia con Parini la concorrenza temibile di Hasse e Metastasio, del loro “Ruggiero” resta poco più che il titolo. “Lucio Silla” fu rappresentato a Milano ventisei volte. L’“Idomeneo”, creato a Monaco nel 1781, una delle opere più ispirate e ricche, ebbe un’unica rappresentazione. Scriverà a suo rischio le altre opere, non commissionate, questo privilegio l’ebbe solo a Milano. La cosa non è irrilevante: si capisce che sia morto presto, senza causa apparente, depresso nel prolungato isolamento tra gli artisti a Vienna, e in casa con l’inutile moglie. Nell’‘89, l’anno della libertà, degli artisti inclusi, per il concerto del 12 luglio Mozart ebbe un solo sottoscrittore, il solito van Swieten.
“Un musicista è, era, in Italia parte onorata della migliore società, mentre oltralpe, fosse pure Beethoven, viveva solo, doveva elemosinare, andava all’osteria. E Milano doveva essere un’altra città. Francesco III di Este, duca di Modena, che fu governatore della Lombardia a lungo a metà Settecento, girava imbellettato. Il conte Firmian era, dice Burney, “una specie di re di Milano”, per la munificenza. Il suo palazzo decoravano grandi quadri di grandi pittori. Ma per l’imperiale pregiudizio Mozart fu breve pure a Milano. E la Scala, che per la nascita gli ha dedicato due libri, “La Vita” e “Le Opere”, i centenari delle opere milanesi ha ignorato, “Mitridate” nel 1770, “Ascanio” nel ‘71, “Silla” nel ‘72, ci sono pause nella storia.
“Il conte era un tedesco di Mezzo Tedesco. Morendo, “lasciò anche molti debiti”, dice la Treccani. Suo zio Leopold Anton, vescovo di Salisburgo, è l’ideatore della più vasta espulsione per motivi religiosi che si ricordi prima di Hitler, avendo costretto nel 1731 diciassettemila protestanti a emigrare in Prussia. L’Austria virtuosa, di cui Milano ha ottima memoria, bandiva pure i libri stranieri, da Montesquieu a Schiller – Crébillon lasciava circolare per lo svago. Di Leopold Anton si ricorda che, non riuscendo a far parlare Michael Hulzögger, un cacciatore che si era  smarrito nell’Untersberg, per riapparire muto dopo un mese, lo ascoltò in confessione. E dopo la confessione lasciò il soglio pastorale e ammutolì pure lui. Il silenzio Hulzögger aveva interrotto solo per dire “tutto vero” ciò che aveva scritto Lazarus Gitschner. Autore di libri profetici, Gitschner aveva visto Federico Barbarossa, in un tunnel sotto il Königsee.
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“Il teatro è molto grande e splendido”, dice del Regio Ducale il dottor Burney, che fu a Milano lo stesso anno di Mozart, il 1770, con cinque file di palchi, cento palchi per ogni fila, sei posti per ogni palco. Su ogni fila c’era “un salone adibito a palco e contenente un camino, con lo occorrente per i rinfreschi e il gioco delle carte”. Nella quarta fila si giocava, senza interruzioni, a faraone. Il palco del duca di Modena e sua figlia era grande come  “una sala da pranzo a Londra”. Il palco dell’arciduca conteneva una stanza da letto e un soggiorno. Una cucina scaldava i pasti portati da casa per gli ospiti. Si giocava, si mangiava e, dopo l’esecuzione, si ballava. L’opera era intervallata da balletti di rinomati coreografi, quali Le Picq e Noverre, con corpi di ballo affollati e scenografie imponenti. Col ricavato del banco ai tavoli da gioco e dei rinfreschi si pa-gavano gli allestimenti, pubblici e gratuiti. Burney è lieve ma affidabile: è altro genere dai viaggiatori inglesi, che si assicurano prima che nessun altro possa raccontarla, da Mandeville a Lawrence d’Arabia. Otto anni dopo il soggiorno di Mozart il Regio Ducale sarà sostituito dalla Scala. La inaugurerà Salieri con “Europa riconosciuta”, opera cacanica, e diventerà il teatro musicale del mondo, quello dove l’acustica più è misera.
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“Non c’è munificenza sopra le Alpi, era tirchia la Mitteleuropa con la musica. Nicola Esterhàzy stipendiò a Milano il Sammartini, da cui Haydn tanto ha appreso, ma con soli sedici zecchini al mese. A Mozart, cui Milano a tredici anni commissionò la prima opera, fecero mancare il necessario. E Haydn? Era brutto Haydn, merito doppio a Marianna Benti che lo protesse e Luigia Polzelli che l’amò, “Sono Alcina, e sono ancora\un visino ch’innamora”. E a Metastasio che benevolo gli insegnò l’italiano. Prima di finire alla Versailles di campagna, venti e più anni al servizio degli Esterhàzy. Mal trattato: il principe lo apostrofava “Moro”, “ehi Moro! ricordati che sei al mio servizio!”, Moro l’interpellavano gli strumentisti.
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“Lui se lo sentiva,solo Napoli gli avrebbe dato la gloria, scriveva. Che pure lo riconobbe, e voleva da lui un’opera. Iniziando l’inutile viaggio con la madre, sotto il ferreo programma del padre Leopold, a ventun anni per le corti del Nord Mozart sa che Napoli gli darebbe “onore e credito quanto cento concerti in Germania”. Ha già scritto sette opere ma solo le tre di Milano sono state apprezzate: “Se compongo a Napoli mi cercheranno ovunque”, scrive al padre.
Milano ce l’ha messa tutta per diventare città musicale, ma è sorda: - Nutrì Mozart e Sammartini, e Giovannino Bach. Ma la biblioteca della sola casa Palfy a Vienna, annotò Stendhal, contava più di mille composizioni di Sammartini. Una città meno distratta dagli affari avrebbe accumulato di più, Milano butta via troppe cose. Il direttore del Conservatorio Basily non ammise Verdi perché di “scarse attitudini musicali”. Rossini ventenne vi inaugurò senza seguito il crescendo, ne “La pietra del paragone”, che non c’è ancora nel “Tancredi” e nell’“Italiana”. Lo rubò, secondo Stendhal, a Giuseppe Mosca, musicista di cui nient’altro si sa – tornerà conte nel romanzo dello scritore, è un conte l’amato della “Pietra del paragone”. Ma è vero che Milano è dispersiva, pure Manzoni se ne stava a Parigi, in Toscana e a Brusuglio”.

Armando Torno, Mozart a Milano, remainders, pp. 56 € 4,50

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