Finisce il bipolarismo, finisce con Berlusconi
anche il Pd. Si tengono – si tenevano
– l’un altro come la Rai con Mediaset. Arrivato al capolinea Berlusconi, col fascio Lega-Pdl è destinato
a sfaldarsi anche il Pd. Che non aveva –
non ha – altro collante: partendo dalle coalizioni di dodici partiti dell’Ulivo
di Prodi, il Pd non è riuscito ad amalgamarli in questi sei anni di vita.
È l’effetto non casuale della liquidazione di
Berlusconi, perseguita da Milano fulmineamente per via giudiziaria dopo il
fallimento con Monti di quella elettorale. Era l’obiettivo del partito neo
guelfo, dichiarato da Casini e Monti, perseguito da metà dei cattedratici, da
Zagrebelsky in giù, esemplificato dal governo Letta in carica. Tornare al
governo del non-governo, cioè dell’establishment politico-burocratico
imperturbato.
Le formule sono quelle note, dei governi di
coalizione. Articolati in numerosi piccoli partiti, come già ora nella grande
coalizione, che è tale solo per la forma. Con un sistema elettorale
proporzionale.
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