Pubblicato nel 1944, insieme con altri scritti più
brevi (“La Germania che abbiamo amato”, “La guerra come ideale”, “I doveri e il
dovere”), l’opuscolo è l’autodifesa di Croce, da germanofilo, di fronte alla
guerra di Hitler, e agli orrori dell’occupazione. Stranamente non superato da
settant’anni ormai di storia europea, a partire dal titolo.
C’entra la mancata latinizzazione di tre quarti
della Germania, ma non solo. Il nodo è un’egemonia che non vuole liberare e
associare ma asservire – “nominor quia
leo” La Germania Federale qualche lezione nei trent’anni della guerra fredda
l’ha imparata. Ma il fondo riemerge, ora che l’Europa non ha più federatore
esterno, non più Stalin e nemmeno gli Usa, proiettati con la globalizzazione
sul Pacifico – l’Europa, con gli arabi e Putin è il cortile posteriore, il
pollaio.
Anche
le curiosità non sono obsolete. A Croce nel ‘31 Thomas Mann, dedicatario
della “Storia d’Europa”, una storia di libertà, ridimensionò il pericolo
Hitler. Ancora pochi anni prima, si può aggiungere, Thomas Mann la democrazia
voleva ostile, rea di “estirpare lo spirito tedesco in Germania”. Lo stesso
Croce quattro anni prima, antifascista celebre e per questo “onorato di lauree
e di diplomi” dalle accademie in varie
città della Germania, non trovò interlocutore che non gli chiedesse ammirato di
Mussolini. Che veniva anche osannato dai paludati Preussische Jahrbücher, gli annali prussiani, ricorda qui il
filosofo stupito, quale “disturbatore della pace europea”.
Benedetto Croce, Il dissidio spirituale della
Germania con l’Europa
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