Un libro di note, su 41 lettere, molte
di servizio, estive la più parte e brevi, di Gadda a Citati, dal 1957 al 1969:
avrebbe fatto felice Gadda, che ne fece di eccellenti? Si parte dalla
riconoscenza per la presentazione critica, sul settimanale “Il Punto”, del “Pasticciaccio” da parte di Citati, funzionario della casa editrice, Garzanti,
che aveva aiutato Gadda nella redazione (“discussi per anni con Gadda, specie
per la seconda parte, mai pubblicata”): ai temi e ai toni di Citati si
atterranno i critici. Godibile nei suoi limiti.
Citati gli era tramite per la collaborazione
al “Giorno”, e queste lettere sono quindi utili anche per vedere come Gadda fa
germogliare e sviluppa le sue proposte giornalistiche, su Manzoni e su
argomenti apparentemente a lui alieni, ma ben attuali. Tra le tante bizzarrie
del Capitano in congedo c’è pure quella di essere stato nell’ormai lungo
dopoguerra il solo “giornalista” alla Orwell, capace di capire la contemporaneità,
e comunque di saperla individuare, d’interrogarsi di fronte a essa - Gadda
giornalista alla Orwell prende quasi un tomo delle opere di Garzanti. Con un
orientamento definito ma senza preconcetto.
Poi, però, questo è un libro di lettere,
che nel caso di Gadda significano sfoghi. Noiosi a questo punto, immutabili per
lo più, riboboli di malanni, malignità, anche nell’elogio, e soldi, anticipi,
premi, la-rendita-che-non-basta-cchiù e il fisco. Irriconoscente e infedele con
gli editori e anche con gli amici. Un pettegolio iterativo, anche degradato.
Non fosse per il ghigno cachinnico. E per le note, che sono però del curatore.
Cui si deve anche il building
parallelo di Citati, che solleva dal gaddismo - a meno che questi “libri degli amici” (Cattaneo, Arbasino, Parise, la lista è lunga) non siano un po’ troppo puntati sul bislacco: Gadda era umorale, ma soprattutto faceto. .
L’autore
è in nota
Il vero libro è l’apparato del curatore,
Giorgio Pinotti, redattore capo dell’editrice, cui si devono le cento pagine
abbondanti di introduzioni, note, riferimenti. Un gran lavoro, di gusto. Anche
se manca la nota più di tutte golosa, l’indice dei nomi. Curiosa anche
l’esclusione, tra le tante invenzioni lessicali messe in quadro, dei
“solferinosi” e stamposi” di p. 52. Pinotti rinforza la raccolta con un saggio
di Citati su Gadda, tanto per fare i pesi, e uno suo utilissimo su Gadda e
Citati. Dalla congerie gaddiana espungedo, prudente ma insinuante, la
nevrastenia governata, l’ipocondria come arma, e il “D’Annunzio-Gadda” cui
l’Ingegnere indulgeva. D’ D’Annunzio ritraccia implacabile le tante impronte
nella lingua, nella estensione-deformazione delle parole e delle strutture, nelle
“neo formazioni parasintetiche” – oltre che, come si suole dire, nel
barocchismo. Non uno dei tanti libri di lettere di Gadda, uno che segna più
punti.
Di Gadda si può dire questo un destino
avverso, fra i molti di cui si lusingava, a cui non avrebbe mai pensato: essere
condannato alle note. A un libro da leggere non per il ragno ma per la rete. Le
note richiamando altre note - la rete è internettiana, vorace senza confini (senza
criteri).
Sono ormai una ventina i libri di lettere
di Gadda a questo e a quello, il cui interesse, e non dei maggiori, tipo potin, sono le chiavi, le note. Qui però
non fini a se stesse: confluiscono in una sorta di autobiografia esplicita. Questa
raccolta spinge ad andare oltre il rapporto personale con questo e quello, il
controverso carattere di Gadda delineando esplicito, definito.
Ingeneroso,
profittatore, ipocondriaco
Gadda era diffidente, come si sa, ma pure
selettivo. In base agli umori, e più alle convenienze. Ingeneroso, anche,
dietro le buone maniere, e profittatore. Con gli editori, e anche con gli
amici. A Citati, a un seguito di inviti a una vacanza prolungata, al mare o in
montagna, più volte ogni estate, Gadda oppone invariabilmente un rifiuto, dopo magari
qualche accettazione simulata. Mentre si lascia sbattere qua e là da Parise,
suo nuovo occasionale (vicino di casa) conoscente. Evidentemente uomo di
lettere nelle sue corde, per il giovanilismo, e il calcolato sadismo, nella
misura giusta per l’Ingegnere. Dal “pazzo Parise” si fa imporre subito, al banco
del bar al caffè una mattina, una gita lì per lì a Bracciano-Manziana “su spider-rossa-biposto-inglese
cilindrata 1.600”, senza la signora, “la sua bella signora-madonna del Giambellino”,
con colazione sul lago naturalmente “ottima, con certi gnocchi trascendenti e
digeribilissimi”. E subito poi un incredibile, infernale per lui, viaggio di
ventiquattro ore – poi prolungato per la stanchezza – a Venezia, a presenziare
all’anteprima di “Accattone”, il film di Pasolini. Sapendo per di più che Goffredo
è stato spinto a circuirlo da “Pietro Paolo”, per avere una celebrità in più
all’evento. La trasferta, che avrebbe stroncato chiunque, e immaginarsi un
settantenne ipocondriaco, lo esilara.
Il rapporto costante con Citati, dal
1957 al 1969, è del resto tenuto senza mai smettere il lei, anche il “dottor
Citati”: Gadda sapeva tenere in soggezione a asservire. Mentre con Parise è passato
subito al tu. Il diverso trattamento di Citati e di Parise è esteso alla
portiera Katia. E perfino a Attilio Bertolucci – che finirà anch’egli depresso,
dopo una vita da pigmalione generoso, assicurativo e inattaccabile, di sconosciuti,
figli, amici, ma veramente, fisicamente, per lunghi anni.
Il
lutto non s’addice
Citati celebra Gadda luttuoso, preso da
angosce giovanili e anzi infantili, e forse prenatali. Che ci sono, Gadda le
manifesta, ma alla Svevo, da un piano superiore. Marciandoci spudorato, ironico.
Costante la lagna nei tredici anni, poco più che sessantenne all’inizio, ma da
subito e invariabilmente ipocondriaco. Il tanto che gli necessitava per indurre
la compassione, la mobilitazione altrui. Attento invece a tutto.
I “disturbi” ci sono. Se non per altro
il “disturbo” di buttarli in faccia alle persone in continuazione – questo, in
una strategia, sarebbe un errore, confliggendo col Gadda ben educato e garbato,
e forse lo è. Ma non gli impediscono di lavorare molto (scritture, riscritture,
bozze, contratti), battagliare, brigare, vedere persone. Sempre oltraggiosamente
vittima, “stretto e avvinghiato da spietati odii e oltraggi, come il vecchio
Laocoonte dalle serpi”. Uno che soffre tanto, soffre sempre di qualcosa, e poi
va a mangiare alla buca di Ripetta. Abitudine contratta quando lavorava ala
Rai, dall’altro lato di piazza del Popolo, ma che da via Blumenstihl, coi mezzi
pubblici di allora, comportava un lungo viaggio. Uno che mangia – in un mese
prende sette chili! Uno che fa sempre i conti perché gli manca un soldo, ma va
al ristorante, ha la governante (“assistente domestica, termine ufficiale
obbligativo per legge”), ed è concupito e ricontrattato dai migliori editori.
Non ha il telefono ma solo per taccagneria. Potendo sfruttare la “gentile
concierge, la russa e generosa Katia”, che se ne fa tramite col suo telefono, la
portiera ce l’ha, “con un saliscendi di tutte le ore: dal seminterrato al mio
secondo piano” – con Katia si sdebita alludendo a sue pratiche col “cetriolone
extramaritale”. Ha una pensione e una rendita modeste, ma cospicui diritti
d’autore e di cinema, molti premi letterari, e ricche collaborazioni ai giornali.
Ha la fascia del cappello bisunta di sudore, attesta Citati, ma per vezzo e non
per bisogno, e comunque veste bene, non è trasandato. .
Affettatissimo sempre: “Non ho forze per
telefonare”, si scusa insolente con Citati, “”per fare i numeri del telefono,
per ricordare i tempi di comunicazione, ecc.”. Come tutti gli ipocondriaci monotematico sul sé. In soliloquio perenne. Al
mondo chiudendosi sornione, per meglio controllarlo, in quello che se ne può
ricavare – in tutte le sue vite Gadda è sempre vittima. Ma ben vivo e attento,
all’ultimissima attualità. Rispettoso sempre delle autorità, malgrado le
proteste, e delle convenienze. Per esempio dei “coniugi Moravia”, Alberto e
Elsa Morante, compagnia che non amava. Si veda qui il racconto privato a Citati
contro i Moravia, uno dei pezzi forti del libro - fondato del resto più che
malevolo.
Le lettere confermano in modo clamoroso
il contrario di ciò che dicono. Intanto per la quantità, sterminata. Poi per la
vena comunque fresca. Poi per lo stile, sempre costruito, ora che siamo tutti epistolografi
a causa di internet e facebook questo si vede anche senza occhio critico, ironico
il giusto, e attento, attentissimo, all’interlocutore. Da Gadda costruito brillantemente,
lelettere si leggono volentieri per questo, perché sono rallegranti e mai cupe.
Anche nelle interminabili giaculatorie qui, di un Gadda che si approfittava di
Citati. E dunque?
Senza questa esilarazione, non
resterebbero che carboni bruciati, un borborigma interminabile. Mentre tutto è
lieta sorpresa, per lui stesso che mai si sottraeva. Non in ufficio, quando
lavorava, né con gli “importuni”. Nemmeno alle cene in Trastevere che sono
quanto di più lontano dalla sua “immagine Gadda” – qui le celebra nel
medaglione della raccolta, la cena con “i due coniugi” romanzieri: “Molto
baccano, «le borghesie fasciste», il «Risorgimento fascista», etc. La mania della
storiografia facile mi pare che prenda la mano”.
Gadda è uno degli scrittori meno umorali
(cattivi, atrabiliari, nevrotici), che il canone del bravo scrittore prevede. Di
buon umore sempre e socievolissimo, malgrado le lamentele continui, gli
acciacchi, le depressioni. Che Citati, bisogna rilevare, assevera stranamente, giacché
ne ha avuto a lungo quasi quotidiana frequentazione. E ben accorto, ponderato. Il
lamento è parte della malattia, sicuro sintomo. Ma di una malattia allora gaia,
anche paracula.
All
male
È il Gadda personaggio che resta, un po’
più preciso del gentile signore malaticcio. E anche del Gadda sulfureo col
quale s’è tentato di rinvigorirlo.
Un altro Schopenhauer si direbbe, dopo
tanti epistolari, incontinente. Entrambi insolenti con le miti sorelle. Di
egocentrismo cioè “perfetto”. Non fosse per la sessualità, che nel filosofo è
straripante, nello scrittore è contenuta, inesistente. Il po’ di scandalismo
che si è tentato con Gadda questa lettura lo ridimensiona: l’incapricciamento
per Parise, aitante e maschiaccio, ma ben sposato, definisce e delimita
un’altra delle porte aperte del discorso su Gadda, le fulminazioni maschili non
vanno in lui oltre il piacere semplice della compagnia. Sul sesso è rimasto,
parole e opere, all’adolescenza, al tempo dei compagni di casino – se ne ride
per questo, il suo pantagruelismo è in argomento del genere goliardico. E agli scambi d’obbligo nella
naja, in trincea e in licenza dalla trincea. Gadda è troppo controllato per un
rapporto sessuale. È l’esatto opposto, per dire, degli incontinenti Arbasino e
Pasolini – con i quali peraltro, malgrado la devozione dei due giovanotti, si
teneva sul lei, il tu riservando ai sicuri non sboccati né smanettatori: qui
Parise, in tralice anche Bernardo Bertolucci.
Il suo eros è sicuramente maschile, ma
da uomo a uomo, senza sesso cioè. Hollywood al solito ne dà le connotazioni coi
film all male, di guerra,
d’avventura, da qualche tempo suburbani, di ubriacature e follie. A Firenze
Piero Santi adombrava, attorno al 1960, vivente dunque Gadda, gite notturne negli
anni Trenta con l’Ingegnere su per l’Erta Canina, al riparo dai viali. È
possibile, Santi aveva allora l’età giusta. Ma lo stesso Santi, che insegnava
dagli Scolopi, quindi sotto controllo, amava la compagnia dei giovani giusto per
riempire la lunga solitudine della sera.
Carlo Emilio Gadda, Un gomitolo di concause, Adelphi, pp. 239 € 14
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