L’essenziale non viene detto, che
pure è semplice: è un’altra Germania. Rispetto all’affabile Repubblica federale
di Bonn. La sconfitta è remota, la Colpa rituale o assente, il paese è
riunito, seppure non ha più i missili a Berlino, col comunismo. Angela Merkel
sa di essere la cancelliera di questa ritrovata Germania. Dice no a Washington
quando vuole, va regolarmente a Mosca e a Pechino, e quando proprio non ne può
fare a meno a Parigi.
È un’altra Europa. È sempre quella
dei trattati, ma non più quella di Bonn bisognosa. Ora i trattati si
applicano a beneficio della Germania –
la cosiddetta egemonia. Sotto la clausola iugulatoria “o altrimenti…” - la
Germania non ha mai osservato un trattato. Angela Merkel, i suoi ministri, i
suoi consiglieri, non si fanno un torto di
esigere il tornaconto della Germania a spese degli altri partner, naturalmente
fino al limite di rottura. Minacciare l’euro o imporre la recessione in suo
nome. Imporre l’austerità e non praticarla. La vigilanza europea sulle banche
ritagliare sulle banche tedesche - un figurino. I rapporti si definiscono per
rilevanza economica. L’Italia conta meno per l’export tedesco dell’Austria, la
Grecia meno del Vietnam.
Si
dice Merkel per dire Germania. Il successo elettorale di domenica è stato
preceduto l’altra domenica da quello ancora maggiore della Csu in Baviera.
All’insegna del nazionalismo più crudo. Nel Land
più europeista. Né si tratta di una
deriva conservatrice o reazionaria: le basi economiche della rinnovata supremazia
tedesca sono state poste dai socialisti, con la flessibilità totale del
lavoro.
O altrimenti
Si
discute in Germania apertamente da un paio d’anni di “egemonia tedesca”, di
come meglio esercitarla nella Ue. Con l’opposizione di notevoli pensatori,
quali Habermas, ma senza effetto. Lo storico anglo-americano Niall Ferguson argomenta
che la Germania ha profittato dell’euro più degli altri membri della zona e a
spese di alcuni di loro. E per questo è insignito quest’anno del premio Erhard,
il massimo riconoscimento tedesco per gli economisti. Ma il premio è assegnato pure
all’economista Hans-Werner Sinn, che – da Monaco, la città più europeista -
argomenta il contrario, che la Germania ci ha rimesso per colpa dei “latini”
(sic).
Nei
fatti la Germania, con un
debito a inizio 2013 di 2.082 miliardi, superiore a quello dell’Italia, 1.988
miliardi, stimava una spesa per interessi di 64 miliardi, contro i 91
dell’Italia - 100 nel 2015. Il Tesoro tedesco ha risparmiato 40,9 miliardi di
euro sulla spesa per interessi nel quinquennio 2010-2014 grazie allo spread, secondo un calcolo pubblicato a
Ferragosto dallo stesso governo tedesco. Il nuovo debito si è ridotto nei tre
anni 2010-2012 di 73 miliardi rispetto alle previsioni. Le imprese tedesche si finanziano ormai da quattro anni, da quando
la crisi greca è stata imposta da Angela Merkel, a tassi d’interesse irrisori,
e anzi negativi, mentre quelle italiane pagano dall’8 per cento in su.
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