Non sa fare le
ragazze, ma la riproposta è una lieta riscoperta. Di storie non noiose e anzi
affascinanti di ragazzi e perfino di bambini. Benché normali, comunissime, di
padri, madri, compagni di strada, motorini e tonsille gonfie. Pascale va spedito
in soggettiva per sei lunghi racconti che sono cronache dei nostri tic, modi di
dire e di fare, modi di essere. Con uno sguardo lieve e insieme sapido,
riuscendo a dare vita a tutto dove posa lo sguardo. Anche le circolari ministeriali
dei regolamenti attuativi dei decreti delegati, le buche nelle strade, l’alluvione
ripetibile delle strade interpoderali, l’enciclopedia medica, la miglioria
della morte (cos’è? bisogna leggere).
Oltre che con le
ragazze, sia le romane “terrazzate” sia le casertane e, si suppone, le
napoletane, Pascale ci affligge coi temi da scuola di scrittura, l’amore, la
morte, la poesia. Ma incidono poco: la scrittura oleata di fine Novecento sa usare
flessibile e dinamica, creando sottili effetti di trasparenza sull’ordinario. Una
vena che si direbbe, chissà perché, balzacchiana. Di felicità affabulatoria disinvolta
e al punto – misurata senza esserlo. La parodia e la difesa insieme facendo del
procedimento normativo (regolamentare, circolare, conformista) con l’intreccio
postmoderno. Del non citato Nietzsche dalle costanti interpretazioni di
interpretazioni. Che non funzionano senza l’aria condizionata.
L’agrimensore Pascale talvolta
interviene, scorretto il giusto, dove il conformismo è troppo (siamo tutti
morti, comanda la mafia, lo Stato è corrotto, apriamo un tavolo). E purtroppo
tutto di una parte: i reduci della sconfitta, per inettitudine palese ma non sbandati,
e anzi protervi a rilasciare l’arma finale, i batteri autoimmunizzanti della
depressione. Temerario forse, ma vivaddio.
I racconti sono tutti rigorosamente di
25 pagine – c’è da scommettere che avranno lo stesso numero di parole o di
battute al computer. Gliel’ha ordinato il medico? Sono una misura dello
spirito? Con un appunto: “La morte è
insopportabile per chi non riesce a vivere” non è Mishima, in realtà – era prolisso:
è Giovanni Lindo Ferretti, CCCP.
Antonio Pascale, S’è fatta ora, Beat, pp. 139 € 9
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