Libro d’ombre, pubblicato lo stesso
anno, 1740, del suo accesso al trono, di un sovrano che sarà l’incarnazione del
“Principe” che si propone di confutare – una ripubblicazione ragionata nel
quinto centenario di Machiavelli sarebbe stata una forte testimonianza. Il
titolo è “L’Antimachiavel ou Examen du Prince de Machiavel”, anodino.
L’argomentazione è quella del “Principe”. Per il rigido rigore che pretende dal
sovrano. L’insensibile – politica – determinazione ai propri obiettivi. Lo
Stato come potenza, con la diplomazia e con le armi. I patti trasgredibili per
il bene del regno – del popolo. Le guerre offensive legittime. Lo Stato
strumento del principe. L’esercizio del potere predominante su ogni altra
considerazione, anche morale. La necessita di un’ampia “base territoriale” per
proteggersi dalle minacce esterne.
Il tutto Federico II rafforza con
l’unità di re e di popolo, tutti gli uomini essendo uguali: “Lungi dall’essere
il sovrano assoluto dei popoli che stano sotto il suo dominio, egli è soltanto
il loro primo servitore”. Sembra un enunciato rivoluzionario, sanculotto, e
invece è quasi opportunista – lo è stato di fatto, una “drittata”. Lo stesso
per la tolleranza religiosa, che si scambia per principio di libertà ma era
anch’essa funzionale – il primo assalto di Federico II fu ai regni cattolici
dell’impero asburgico.
Di suo Federico ci mette il regno della
cultura. Che non è poco, e farà la grandezza della Prussia sugli altri
principati tedeschi, e della Germania. Ma è – detto chiaramente – uno strumento
per la grandezza dello Stato. Più intollerante che non: il Gran Re di Prussia
voleva che si parlasse e si scrivesse in francese, a lungo disdegnò il tedesco,
la lingua e la cultura. Voltaire adulatore dirà che “dai giorni di Marco
Aurelio, questo scritto di un sovrano non ebbe suo pari”. L’illuminismo era
machiavellico.
Federico II, L’Antimachiavelli
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