Con due sottotitoli: “Il grande brigantaggio”,
e “Briganti borboni bande bottini battute baldracche bandiere borseggi e
battaglie”, con l’assenza dunque di bricconi e braccianti. Una compilazione
ambigua, insomma. Ma del tipo: si vorrebbe dire e non si può.
Il terzo sottotiolo è diminutivo: “Contributo
a una storia fotografica del brigantaggio pseudo politico nell’ex Regno delle
Due Sicilie”. Ma subito poi si contraddice nelle didascalione, tutte precise,
che corredano le lastre: le bande erano “almeno” 380. Tra piccole, 5-15 membri,
e grandi dai 100 in su, “con punte di 300-400 uomini” Organizzate, per la parte
legittimista, nei primi mesi, da sei generali: Statella, Tommaso Clary, i
carlisti spagnoli José Borjes e Rafael Tristany, il belga Trazegnies de Namour,
il francese De Langlois. Le altre generate da braccianti e borghesi.
La rivolta partiva dalla leva
obbligatoria. Qui non se ne parla, ma era la tassa più odiata. Cioè, anche qui,
se ne parla indirettamente, dove si spiega che uno dei rimedi contro il
brigantaggio fu l’arruolamento dei giovani nella Guardia Nazionale Mobile, con
una retribuzione, 77 centesimi al giorno, che oggi sembra ridicola ma era superiore
a quella del bracciante al Sud. Fu anche una rivolta contadina, come le foto
documentano. Fu un fenomeno composito: di legittimisti, cui i Borboni avevano
già fatto ricorso con successo nel 1799 e nel 1849, di banditi, di avventurieri,
ma anche di contadini e disertori, e perfino, in pochi casi, di borghesi
liberali.
Il problema è che su tale congerie fu
assestato lo Stato Unitario: da subito molto antimeridionale. Creando
pregiudizi e procedure che non muoiono. La repressione fu sempre e solo militare
e sommaria: giudizio improvvisato senza appello, e fucilazione.
Con i mercenari della Guardia Nazionale
fu impiegata pure la Legione Ungherese della spedizione garibaldina, nella
prima metà del 1862 nel salernitano e nella Basilicata, e dall’agosto del 1865
a Vasto e Lanciano, dove restò impelagata per circa un anno, con alterne
fortune.
“Quanto ha inciso questo logorio
sull’efficienza di queste truppe nella guerra del 1866?”, si chiede il
curatore, Oreste Grossi, arguto ma non tanto. Dopo anni di polizia sommaria,
senza un nemico reale. Opera del generale Cialdini. Di cui un giorno si farà la
storia, di un uomo tanto incapace quanto feroce. Appena preso possesso militare
del Regno, a luglio del 1861, decretò la fucilazione di chiunque fosse trovato
in possesso di un’arma: “Fucilo ogni paesano armato che piglio”. Quanto dire
tutta la popolazione maschile adulta delle campagne, cioè i contadini. Da Torino si ordinava di non fucilare se non
i capi, ma i generali disobbedivano. Il coordinatore, il generale Enrico Della
Rocca, sapeva di questi abusi, e anche dei trucchi per commetterli: “Vedendosi
arrivare l’ordine di fucilare soltanto i capi, telegrafavano con questa
formula: «Arrestati, armi in pugno, nel luogo tale, tre, quattro, cinque capi
di briganti…», e io rispondevo: «Fucilate»”.
Oreste Grossi, Album fotografico del brigantaggio meridionale 1860-1865
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