Anima – Non è una buona cosa in
chiesa. Per Platone sì, è Dio in noi, per la religione no. Per la Bibbia è
macchiata dal peccato originale – i cristiani la riscattano col battesimo. Per
l’islam è tentatrice, disobbediente, maligna – diabolica in termini cristiani:
“L’anima è l’istigatrice del male, a meno che il mio Signore non me ne faccia
misericordia” (“Corano” 12,53).
Ha introdotto un po’ di luce nell’oltremondo
cupo, inerte, della Grecia arcaica, fino a Esiodo compreso.
È monista (Spinoza: un solo essere, con due
modi, corporale e spirituale) e duale (Aristotele: anima e corpo, spirito e
materia). A volte (san Paolo) ulteriormente duale, con lo spirito. Ma sempre,
per il cristiano, consustanziale: “nasce” alla concezione. Donata da Dio
(Origene) oppure dai genitori (Tertulliano). San Tommaso d’Aquino, sulla tracia
di Aristotele, vuole l’anima insufflata nell’embrione tra i 40 e gli 80 giorni
dalla concezione. È la base della dottrina dell’embrione della chiesa, e della
regolamentazione dell’aborto delle legge 194, i cui termini sono in
discussione.
La tripartizione paolina è anche di Jung: nella
psicologia del profondo l’anima è mediatrice tra lo spirito e il corpo. Nella
poesia, l’arte, la mistica – tutto ciò che è umano.
La psicologia non saprebbe farne a meno, è la
sua materia. Jung non ha problemi a difesa: “Il primato della fisicità è la
negazione in ultima analisi della psicologia, i fenomeni psichici riducendo a
processi biochimici”.
Per Nietzsche, l’ultimo a negarne la
sopravvivenza dopo la morte, sebbene non materialista democriteo, si può dire
che la sua vita materiale, tra il 1844 e il 1900, è stata meno dell’1 per cento
della sua vita successiva.
È affermazione e cancellazione, del sé e del
mondo, nell’Anima del Mondo di Plotino e nel sentire comune. Nella
tripartizione di Plotino, tra l’Uno principio originario e le sue emanazioni,
l’Intelletto e l’Anima del mondo, quest’ultima è il mondo come lo vediamo, lo
pratichiamo, lo viviamo (facciamo). All’indicibilità dell’Uno opponendo una
profusione di segni e simboli, storie e miti, e vite grevi.
Eternità
- È
umana, “mondana”. Come tutto ciò che è concepito (concepibile). Come tutto ciò
, anche, che è altro che umano: l’onniscienza, l’onnipotenza, la sapienza
(Dio), ma che è sempre dell’orizzonte umano, “mondano”.
Interpretazione – È di per sé ricostituente,
anche rigenerativa. Interminabile, infinita. Sarà l’infinito il richiamo del
postmoderno.
È una forma di affabulazione, solo Nietzsche
poteva considerala una forma della verità. Cioè lo è, ma in soggettiva,
estrema: una continua riproposta di sé sotto apparato critico.
Libertà – È la liberazione, un processo
costante. Prende senso ricostituendosi – è lo stesso procedimento della salvezza
come esperienza, attenzione costante.
Peccato
- È
provvidenziale? I vangeli sembrano dirlo: in Giuda, in Pilato, nello stesso
sinedrio poi anatemizzato. Espediente cioè alla Redenzione (alla Crocefissione
e alla Resurrezione), che è il fulcro del cristianesimo. “Felice sbaglio che ci
valse un tale Redentore”, dice san Paolo del peccato e di Gesù Cristo.
La concezione provvidenziale della storia è
moralmente ambigua, e logicamente insostenibile – contro le apparenze. Anche in
termini religiosi, se il peccato è provvidenziale. E, perché no, l’Olocausto.
Suicidio – Ha l’inconveniente
che va organizzato. Filosoficamente è lacerare il tempo, anche se Aristotele dice
che il tempo non esiste, a meno che non vi succeda qualcosa. Ma per uccidersi
bisogna averci pensato, l’impulso non basta. Questo atto che fa gli uomini
superiori agli dei non è pratico. E ridicolo nella meccanica: smontare e oliare
l’arma, collocarsi in linea con la bocca da fuoco, contare le pillole, piegarsi
a quattro zampe davanti al forno, dopo averne con cura sigillato i bordi,
affilare le lame. Il conte
Potocki si sparò col nottolino della teiera che aveva polito per tre anni, fino
a ricavarne un proiettile penetrante, che aveva fatto benedire dal cappellano
di casa.
L’atto richiede insomma mezzi adatti, e una
ragione: chi non ha argomenti per vivere, se ne inventa per morire. C’è il
suicidio egoista, dice il sociologo, e quello altruista: da cui si è tentati
non per pessimismo, come
Lucrezio, Leopardi, Croce giovane, ma per ottimismo, la fiducia negli altri, i
vuoti si riempiono. E c’è il suicidio anomico. Alcuni si uccidono,
in Nuova Zelanda, per deficienza dei pettorali, i giapponesi se non passano gli
esami. Nell’isola
di Cea alla pensione, per far bastare il cibo ai giovani. I
Mundugunor della Nuova Guinea, cacciatori e erotomani, al declinare delle forze
si mett(eva-)ono su una canoa e si affida(va)no alla corrente per farsi
mangiare dai vicini – ogni tribù è nemica, specie se contigua. E c’è la
categoria dei suicidati, il fisiologo Morselli insegnava all’anomico Durkheim.
Da parte, per esempio, della persona che ti sta accanto ed è morta: è fredda,
ostile. La casistica andrebbe completata col suicidio impossibile, di chi non
ha argomenti per vivere, e neanche per morire.
Simone
Weil dice che “due sono i modi di uccidersi, suicidio o distacco”, e dunque è
questa una forma di suicidio, l’ira contro chi si ama: “Uccidere col pensiero
chi si ama, sola maniera di morire”. È un’immagine di morta che prende svanendo
la scena del sopravvissuto, colui che la grazia ha salvato avendo visto la
morte in faccia - un piano di specchio, che guarda la vita scorrere.
zeulig
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