domenica 29 settembre 2013

Secondi pensieri - 151

zeulig

Anima – Non è una buona cosa in chiesa. Per Platone sì, è Dio in noi, per la religione no. Per la Bibbia è macchiata dal peccato originale – i cristiani la riscattano col battesimo. Per l’islam è tentatrice, disobbediente, maligna – diabolica in termini cristiani: “L’anima è l’istigatrice del male, a meno che il mio Signore non me ne faccia misericordia” (“Corano” 12,53).

Ha introdotto un po’ di luce nell’oltremondo cupo, inerte, della Grecia arcaica, fino a Esiodo compreso.

È monista (Spinoza: un solo essere, con due modi, corporale e spirituale) e duale (Aristotele: anima e corpo, spirito e materia). A volte (san Paolo) ulteriormente duale, con lo spirito. Ma sempre, per il cristiano, consustanziale: “nasce” alla concezione. Donata da Dio (Origene) oppure dai genitori (Tertulliano). San Tommaso d’Aquino, sulla tracia di Aristotele, vuole l’anima insufflata nell’embrione tra i 40 e gli 80 giorni dalla concezione. È la base della dottrina dell’embrione della chiesa, e della regolamentazione dell’aborto delle legge 194, i cui termini sono in discussione.

La tripartizione paolina è anche di Jung: nella psicologia del profondo l’anima è mediatrice tra lo spirito e il corpo. Nella poesia, l’arte, la mistica – tutto ciò che è umano.

La psicologia non saprebbe farne a meno, è la sua materia. Jung non ha problemi a difesa: “Il primato della fisicità è la negazione in ultima analisi della psicologia, i fenomeni psichici riducendo a processi biochimici”.

Per Nietzsche, l’ultimo a negarne la sopravvivenza dopo la morte, sebbene non materialista democriteo, si può dire che la sua vita materiale, tra il 1844 e il 1900, è stata meno dell’1 per cento della sua vita successiva.

È affermazione e cancellazione, del sé e del mondo, nell’Anima del Mondo di Plotino e nel sentire comune. Nella tripartizione di Plotino, tra l’Uno principio originario e le sue emanazioni, l’Intelletto e l’Anima del mondo, quest’ultima è il mondo come lo vediamo, lo pratichiamo, lo viviamo (facciamo). All’indicibilità dell’Uno opponendo una profusione di segni e simboli, storie e miti, e vite grevi.

Eternità - È umana, “mondana”. Come tutto ciò che è concepito (concepibile). Come tutto ciò , anche, che è altro che umano: l’onniscienza, l’onnipotenza, la sapienza (Dio), ma che è sempre dell’orizzonte umano, “mondano”.

Interpretazione – È di per sé ricostituente, anche rigenerativa. Interminabile, infinita. Sarà l’infinito il richiamo del postmoderno.
È una forma di affabulazione, solo Nietzsche poteva considerala una forma della verità. Cioè lo è, ma in soggettiva, estrema: una continua riproposta di sé sotto apparato critico.

Libertà – È la liberazione, un processo costante. Prende senso ricostituendosi – è lo stesso procedimento della salvezza come esperienza, attenzione costante.

Peccato - È provvidenziale? I vangeli sembrano dirlo: in Giuda, in Pilato, nello stesso sinedrio poi anatemizzato. Espediente cioè alla Redenzione (alla Crocefissione e alla Resurrezione), che è il fulcro del cristianesimo. “Felice sbaglio che ci valse un tale Redentore”, dice san Paolo del peccato e di Gesù Cristo.
La concezione provvidenziale della storia è moralmente ambigua, e logicamente insostenibile – contro le apparenze. Anche in termini religiosi, se il peccato è provvidenziale. E, perché no, l’Olocausto.

Suicidio Ha l’inconveniente che va organizzato. Filosoficamente è lacerare il tempo, anche se Aristotele dice che il tempo non esiste, a meno che non vi succeda qualcosa. Ma per uccidersi bisogna averci pensato, l’impulso non basta. Questo atto che fa gli uomini superiori agli dei non è pratico. E ridicolo nella meccanica: smontare e oliare l’arma, collocarsi in linea con la bocca da fuoco, contare le pillole, piegarsi a quattro zampe davanti al forno, dopo averne con cura sigillato i bordi, affilare le lame. Il conte Potocki si sparò col nottolino della teiera che aveva polito per tre anni, fino a ricavarne un proiettile penetrante, che aveva fatto benedire dal cappellano di casa.
L’atto richiede insomma mezzi adatti, e una ragione: chi non ha argomenti per vivere, se ne inventa per morire. C’è il suicidio egoista, dice il sociologo, e quello altruista: da cui si è tentati non per pessimismo, come Lucrezio, Leopardi, Croce giovane, ma per ottimismo, la fiducia negli altri, i vuoti si riempiono. E c’è il suicidio anomico. Alcuni si uccidono, in Nuova Zelanda, per deficienza dei pettorali, i giapponesi se non passano gli esami. Nell’isola di Cea alla pensione, per far bastare il cibo ai giovani. I Mundugunor della Nuova Guinea, cacciatori e erotomani, al declinare delle forze si mett(eva-)ono su una canoa e si affida(va)no alla corrente per farsi mangiare dai vicini – ogni tribù è nemica, specie se contigua. E c’è la categoria dei suicidati, il fisiologo Morselli insegnava all’anomico Durkheim. Da parte, per esempio, della persona che ti sta accanto ed è morta: è fredda, ostile. La casistica andrebbe completata col suicidio impossibile, di chi non ha argomenti per vivere, e neanche per morire.


Simone Weil dice che “due sono i modi di uccidersi, suicidio o distacco”, e dunque è questa una forma di suicidio, l’ira contro chi si ama: “Uccidere col pensiero chi si ama, sola maniera di morire”. È un’immagine di morta che prende svanendo la scena del sopravvissuto, colui che la grazia ha salvato avendo visto la morte in faccia - un piano di specchio, che guarda la vita scorrere.

zeulig

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