Nei “processi di civilizzazione”, di cui
Elias è inventore e specialista, ci sono fasi come nella vita dell’uomo:
“Pensiamo ad un bambino che venga sovente bastonato da un padre collerico
quando questi lo giudica maleducato. Questo bambino per paura del padre
imparerà a evitare comportamenti invisi, ma il suo meccanismo di autostima non
si svilupperà che in modo incompleto. Per poter dominare se stesso deve far
riferimento alle minacce altrui”. Inventarsi un nemico: è questa – sarebbe – la
specialità della Germania, la sua specificità.
È un ragionamento sottile, seppure
svolto ampiamente in psicoanalisi e avallato da Dolto e dallo stesso Freud. Che
spiega molto, forse la stessa storia com’è avvenuta. Ma resta da chiedersi chi
è – era – il padre collerico: il re di Prussia? l’imperialismo britannico? il nazionalismo?
Anche per questo la raccolta non è stata – non è – ben accolta in Germania.
Perché, mettendo assieme il “processo di civilizzazione” col “crollo della
civiltà”, il saggio sul nazismo, è come se la storia della Germania confluisse
su Hitler. Adattata al tedesco nel 1989 (tradotta dal Mulino nel 1991), la
raccolta ha navigato finora in immersione, respinta o trascurata dall’opinione
in Germania.
Questa raccolta dell’università di
Dublino è il terz’ultimo tomo delle opere complete del sociologo tedesco. Che
la Fondazione Elias ha preferito editare in inglese invece che in tedesco. E propone un
riassestamento sostanziale della raccolta dallo stesso titolo del 1989. Che
Elias aveva seguito e per la quale aveva scritto una corposa introduzione, qui
ripresa. Ma ritenuta piuttosto opera del curatore-traduttore in tedesco Michael
Schröter da molti (anche dallo stesso Schröter: “la scelta è in ultima analisi
di responsabilità del curatore”, avvertiva, “nessuno dei testi qui pubblicati è
stato messo a punto per la stampa dall’autore”).
La riedizione si propone anche per la
versione originale e integrale sullo hitlerismo, “Il crollo della civiltà”, che
rese famoso Elias nel 1939 – il saggio è del 1934. Che Schröter aveva omesso,
limitando la raccolta ad alcuni lavori di Elias degli anni 1961-1980. Mentre
molti dei materiali che Schröter accumulava in nota sono qui rivalutati come
appendici. Per esempio le annotazioni sulla scurrilità di Mozart con la cugina,
che confluiranno in “Mozart. Sociologia di un genio”. Non c’è invece un titolo
di Schröter, “Jünger bellicista”, che nel testo trovava solo due righe su
“Tempeste d’acciaio”.
In Inghilterra Elias ha lavorato dal
1935, dopo un paio d’anni di esilio a Parigi. Alla London School of Economics e
poi in altre università, scrivendo in inglese. Alla pensione nel 1977 passerà a
Amsterdam, dove ritornerà fino alla morte nel 1990 dopo un tentativo di rientro
in Germania, all’università di Bielefeld, dal 1978 al 1984. Ma era e si voleva
tedesco malgrado tutto. Al club londinese di Chatham House ricorda che poteva
leggere durante tutta la guerra “i giornali nazionalsocialisti il giorno stesso
in cui uscivano”. Ha collaborato alla raccolta di Schröter, nell’intento di
contribuire a una sorta di “biografia della Germania”. Per la quale si propone
nell’introduzione come “testimone oculare”, per quasi novant’anni.
L’odio
civico
Sono quattro saggi, prolissi come si
conviene a un sociologo, e non definitivi, pieni di spunti aperti, come si
conviene a un ricercatore. Più un’ampia divagazione sulla Repubblica Federale –
allora – di Bonn. I saggi sono sul formalismo eccessivo. Le lettere di Leopold
Mozart e dello stesso Wolfgang traboccano di servili prosternazioni,
sottomissioni, devozioni, a graziosissimi, illustrissimi e supremi signori, che
magari erano mezze calzette. Sulla “società soddisfatta” del 1871-1918,
“rigorosamente regolata in senso gerarchico”. Sugli studi (la formazione) e sul
duello, fra i giovani nelle scuole. Sul terrorismo, del primo dopoguerra e
degli anni 1970.
Della Germania Federale lo colpiva l’odio
civile, una sorta di leghismo anticipato, o scarso senso della patria: “Una
delle esperienze più sconvolgenti e impressionanti”, scriveva nel 1977, “che si
possono fare oggi, da una certa distanza, nella Germania Occidentale è l’enorme
risentimento e l’ostilità che parti della popolazione nutrono nei confronti dl
altre parti”, tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, tra ricchi e poveri, tra
sinistre e destre.
Il tema di fondo – anche nell’edizione
tedesco-italiana in cui Hitler non c’era – è naturalmente: perché Hitler. Elias
non dice che Hitler corona la storia tedesca. Anche se molti spunti vi
conducono: la formazione scolastica, la società satisfaktionsfähig dell’impero Hohenzollern, il nazionalismo, il
bellicismo. Ma non dice nemmeno che è un intruso o un folle. “Nulla meglio
degli obiettivi bellici tedeschi rivela la qualità irreale della Realpolitik tedesca”, nota. La società guglielmina, si può
aggiungere, allora detta filistea, che Elias rinomina “soddisfatta”, satisfaktionsfähig, si voleva a specchio
della società vittoriana, ma ne fu cattiva imitazione, torpida. Una miscela torbida di sciovinismo,
superiorità morale, conformismo, affarismo, nonché di cattivo gusto e di
languori decadenti.
Si deve a
Elias anche la prima ammissione della “logica” totalitaria: “Un regime
dittatoriale opera in base all’idea di un ordine organizzato in modo del tutto
razionale”, molto più fluido e produttivo di “un regime parlamentare
pluripartitico”. Di più: “Uno Stato del tutto dittatoriale sarebbe
l’incarnazione della ragione. Forse non è un caso se una filosofia che pose al
centro il concetto di ragione, quella di Kant, abbia avuto il suo massimo
sviluppo nell’età dell’assolutismo”.
Norbert Elias (a cura di Eric Dunning-Stephen Mennell), Studies
on the Germans: Power Struggles and the Development of Habitus in the
Nineteenth and Twentieth Centuries, Ucd Press Dublin, pp. xxvi + 529
€ 60
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