giovedì 26 settembre 2013

Troppe sberle al bambino tedesco

Nei “processi di civilizzazione”, di cui Elias è inventore e specialista, ci sono fasi come nella vita dell’uomo: “Pensiamo ad un bambino che venga sovente bastonato da un padre collerico quando questi lo giudica maleducato. Questo bambino per paura del padre imparerà a evitare comportamenti invisi, ma il suo meccanismo di autostima non si svilupperà che in modo incompleto. Per poter dominare se stesso deve far riferimento alle minacce altrui”. Inventarsi un nemico: è questa – sarebbe – la specialità della Germania, la sua specificità.
È un ragionamento sottile, seppure svolto ampiamente in psicoanalisi e avallato da Dolto e dallo stesso Freud. Che spiega molto, forse la stessa storia com’è avvenuta. Ma resta da chiedersi chi è – era – il padre collerico: il re di Prussia? l’imperialismo britannico? il nazionalismo? Anche per questo la raccolta non è stata – non è – ben accolta in Germania. Perché, mettendo assieme il “processo di civilizzazione” col “crollo della civiltà”, il saggio sul nazismo, è come se la storia della Germania confluisse su Hitler. Adattata al tedesco nel 1989 (tradotta dal Mulino nel 1991), la raccolta ha navigato finora in immersione, respinta o trascurata dall’opinione in Germania.
Questa raccolta dell’università di Dublino è il terz’ultimo tomo delle opere complete del sociologo tedesco. Che la Fondazione Elias ha preferito editare in inglese invece che in tedesco. E propone un riassestamento sostanziale della raccolta dallo stesso titolo del 1989. Che Elias aveva seguito e per la quale aveva scritto una corposa introduzione, qui ripresa. Ma ritenuta piuttosto opera del curatore-traduttore in tedesco Michael Schröter da molti (anche dallo stesso Schröter: “la scelta è in ultima analisi di responsabilità del curatore”, avvertiva, “nessuno dei testi qui pubblicati è stato messo a punto per la stampa dall’autore”).
La riedizione si propone anche per la versione originale e integrale sullo hitlerismo, “Il crollo della civiltà”, che rese famoso Elias nel 1939 – il saggio è del 1934. Che Schröter aveva omesso, limitando la raccolta ad alcuni lavori di Elias degli anni 1961-1980. Mentre molti dei materiali che Schröter accumulava in nota sono qui rivalutati come appendici. Per esempio le annotazioni sulla scurrilità di Mozart con la cugina, che confluiranno in “Mozart. Sociologia di un genio”. Non c’è invece un titolo di Schröter, “Jünger bellicista”, che nel testo trovava solo due righe su “Tempeste d’acciaio”.
In Inghilterra Elias ha lavorato dal 1935, dopo un paio d’anni di esilio a Parigi. Alla London School of Economics e poi in altre università, scrivendo in inglese. Alla pensione nel 1977 passerà a Amsterdam, dove ritornerà fino alla morte nel 1990 dopo un tentativo di rientro in Germania, all’università di Bielefeld, dal 1978 al 1984. Ma era e si voleva tedesco malgrado tutto. Al club londinese di Chatham House ricorda che poteva leggere durante tutta la guerra “i giornali nazionalsocialisti il giorno stesso in cui uscivano”. Ha collaborato alla raccolta di Schröter, nell’intento di contribuire a una sorta di “biografia della Germania”. Per la quale si propone nell’introduzione come “testimone oculare”, per quasi novant’anni.
L’odio civico
Sono quattro saggi, prolissi come si conviene a un sociologo, e non definitivi, pieni di spunti aperti, come si conviene a un ricercatore. Più un’ampia divagazione sulla Repubblica Federale – allora – di Bonn. I saggi sono sul formalismo eccessivo. Le lettere di Leopold Mozart e dello stesso Wolfgang traboccano di servili prosternazioni, sottomissioni, devozioni, a graziosissimi, illustrissimi e supremi signori, che magari erano mezze calzette. Sulla “società soddisfatta” del 1871-1918, “rigorosamente regolata in senso gerarchico”. Sugli studi (la formazione) e sul duello, fra i giovani nelle scuole. Sul terrorismo, del primo dopoguerra e degli anni 1970.
Della Germania Federale lo colpiva l’odio civile, una sorta di leghismo anticipato, o scarso senso della patria: “Una delle esperienze più sconvolgenti e impressionanti”, scriveva nel 1977, “che si possono fare oggi, da una certa distanza, nella Germania Occidentale è l’enorme risentimento e l’ostilità che parti della popolazione nutrono nei confronti dl altre parti”, tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, tra ricchi e poveri, tra sinistre e destre.
Il tema di fondo – anche nell’edizione tedesco-italiana in cui Hitler non c’era – è naturalmente: perché Hitler. Elias non dice che Hitler corona la storia tedesca. Anche se molti spunti vi conducono: la formazione scolastica, la società satisfaktionsfähig dell’impero Hohenzollern, il nazionalismo, il bellicismo. Ma non dice nemmeno che è un intruso o un folle. “Nulla meglio degli obiettivi bellici tedeschi rivela la qualità irreale della Realpolitik tedesca”, nota. La società guglielmina, si può aggiungere, allora detta filistea, che Elias rinomina “soddisfatta”, satisfaktionsfähig, si voleva a specchio della società vittoriana, ma ne fu cattiva imitazione, torpida. Una miscela torbida di sciovinismo, superiorità morale, conformismo, affarismo, nonché di cattivo gusto e di languori decadenti.
Si deve a Elias anche la prima ammissione della “logica” totalitaria: “Un regime dittatoriale opera in base all’idea di un ordine organizzato in modo del tutto razionale”, molto più fluido e produttivo di “un regime parlamentare pluripartitico”. Di più: “Uno Stato del tutto dittatoriale sarebbe l’incarnazione della ragione. Forse non è un caso se una filosofia che pose al centro il concetto di ragione, quella di Kant, abbia avuto il suo massimo sviluppo nell’età dell’assolutismo”.
Norbert Elias (a cura di Eric Dunning-Stephen Mennell), Studies on the Germans: Power Struggles and the Development of Habitus in the Nineteenth and Twentieth Centuries, Ucd Press Dublin, pp. xxvi + 529  € 60

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