Si nominano in successione “eminenti” tagliatori
di spesa, Cottarelli dopo l’inutile Bondi, che lasciano passare qualche mese, incassano
la consulenza, e se la squagliano col solito ammonimento: la spesa non si può
tagliare. Invece di dire: è impossibile rifare i conti. Perché questi controllori non hanno e non possono avere
una contabilità loro. Devono fare riferimento ai centri di spesa. I quali
tutti non sono nati ieri e sanno come giustificare, intagliabili, ognuno le sue
spese. Per cui l’unico rimedio possibile è il taglio lineare, che non risolve e
aggrava le sperequazioni.
È uno degli equivoci legati alla figura
taumaturgica del “tecnico”, che nella finta democrazia italiana è
automaticamente gratificato della qualifica di bello-e-buono, direbbe Platone,
della nazione. L’unico intervento
possibile dovrebbe essere parlamentare. Cioè politico. Sugli appalti e sulla
sanità. Perché questi sono i due bubboni della spesa pubblica sono. Si sa. E si
sa anche come e perché. Ma non si interviene, perché la politica è parte del sistema
di corruttela.
Ogni appalto viene a costare almeno il
doppio, e mediamente il triplo, del valore a progetto. Più gli oneri connessi
alla dilatazione dei tempi di realizzazione, che anch’essi raddoppiano, come
minimo, e più spesso triplicano. È superfluo dire che “in Europa” questo non
succede. Gli appalti sono un sistema anche di corruttela, oltre che di sprechi:
nessuna azienda europea di costruzioni si avventura in Italia, dopo i primi infruttuosi
tentativi quindici anni fa, quando il capitolato europeo divenne legge, negli
appalti delle metropolitane e dell’alta velocità.
Degli sprechi della sanità si sa tutto. Il
sistema delle farmacie, l’eccesso di personale non qualificato, portantini e barellieri, i difetti e gli
errori di progettazione. E naturalmente gli appalti: si fanno creste enormi
nelle asl su ogni appalto, dalla rianimazione al cotone idrofilo.
Il terzo settore d’intervento, di dimensioni
minori ma nell’ordine di un paio di miliardi, riguarda la Difesa. L’Italia
continua a mantenere forze armate pletoriche in tempo di pace. E fa da una
ventina d’anni delle guerre che, sia pure a bassa intensità e a fini di
pacificazione (ma c’è una guerra per la guerra?), tengono impegnati
l’equivalente di una paio di Corpi d’armata nella guerra guerreggiata. In posti
remoti. A costi molto elevati per la logistica e l’uso dei mezzi, se non per il
munizionamento. E per le retribuzioni, essendo le guerre di pace contabilizzate
alla stregua della cooperazione allo sviluppo, con diarie e indennità di trasferta,
alloggio, pasti, festivi, ferie non godute, etc., in genere forfettizzate in
3-4 mila euro mensili.
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