Ogni delitto va perseguito, è la base del
diritto. Ma non ogni delitto di mafia. Al Sud e ora, si scopre con le bande
sudamericane e africane, al Nord. Dove le stesse vengono docufilmate per anni,
invece che perseguite: se ne fa uno show, mentre seminano la violenza. Può
essere questa strategia repressiva l’origine delle mafie, il rinvio della
doverosa repressione.
Al Sud questo si poteva scrivere già vent’anni
fa, quando infine fu colpita la mafia dei terreni a Castellace in Calabria:
“Si fa
un primo intervento in Calabria contro le «cosche dei terreni», attive in agro
di Castellace, la grande area olivicola pianeggiante del comune-diocesi di
Oppido Mamertina. «L’operazione “Pace tra gli ulivi” è costata quattordici mesi
di indagini», si legge nei comunicati dell’Arma dei carabinieri. Ma si sapeva tutto di tutti da
almeno 35 anni.
“Cos’è
cambiato ora, perché ora e non prima, non all’inizio di questa feroce
sovversione a danno di decine, forse centinaia, di famiglie? Malgrado le
denunce, le testimonianze, le intimidazioni gravi, bombe, incendi, sparatorie?
Le cosche hanno fatto un errore: hanno ordinato un assassinio, del barone
Cordopatri, a un killer poco sveglio che si è lasciato prendere dai passanti, e
la cosa non può passare impunita. Sono anche tempi in cui il vecchio ordine
viene contestato, e la giustizia quindi si muove. Una delle cosche, bisogna
dire, ha fatto l’errore, i Mammoliti, per eccesso di impudenza-impunità, le
altre mugugnano scopertamente contro i Mammoliti, e forse li denunciano.
“Non c’è
nulla di segreto in fatto di mafie, se non il fatto che non siano perseguite.
Non in tempo utile, quando commettono le grassazioni. Come sarebbe possibile in
base alle denunce e alle documentazioni. Solo – e non sempre – si perseguono
quando il danno è compiuto, a titolo di esemplarità. Contro le vittime (il
Sud, i possidenti, l’idea di ordine), alle quali si imputano omertà e
connivenze, contro ogni evidenza.
“Oppido
ha avuto un senatore e ha un vescovo, ma niente si è mosso per la legalità. Un
deputato poi senatore, Salvatore Frasca, parlamentare dal 1972, che animava
molte manifestazioni antimafie, in almeno due elezioni ha avuto i voti di
Castellace grazie ai Mammoliti. La strada interpoderale Castellace-Amato, un
collegamento infine diretto e semplice con le banche e i magazzini oleicoli di
Gioia Tauro, si è fatta per l’interessamento dei Mammoliti, e dei loro patroni
di Gioia Tauro, i Piromalli. Sembra fantastoria ma non lo è.
“Ai
(piccoli) proprietari spossessati non è restato che pagare avvocati, sporgere
denunce inutili, sopravvivere mentalmente alle intimidazioni, e pensionarsi
modestamente per salvare le vite e la sanità mentale dei figli. Mentre le
stesse cosche oggi perseguite – ma non carcerate, né confiscate nei beni - hanno prosperato esentasse per almeno tre
decenni e a titolo gratuito. Diversificando in impieghi ora imprendibili –
grazie ai migliori consigliori finanziari, che le mafie possono permettersi.
Allargandosi a dominare, indisturbate, una trentina di paesi, una plaga di 200
mila persone, lì dove un guadagno si materializzava, anche modesto – bisognava essere
poveri per essere liberi. Contro tutte le sociologie della «funzione
provveditrice» delle mafie, sostitutive dello Stato, della Legge, della
Società: le mafie prosperano col terrore, quando si esercita indisturbato.
“L’Arma
elenca «una serie impressionante di
intimidazioni contro gli agricoltori della Piana». Erano tutte da tempo
documentate nelle denunce e le proteste. L’inizio della storia viene datato 1974,
quando “una
progressiva ma inesorabile acquisizione di tutti i terreni agricoli ricadenti
nel territorio della cosca, con vendite a prezzi ridottissimi, e l’intestazione
delle proprietà a
componenti della ‘ndrina
senza precedenti penali” si
avvia.
I capitali si dicono
procurati attraverso due
sequestri di persona eseguiti in precedenza, di “due cugini dallo stesso nome”, Pasquale Leuzzi, prelevati a
Delianova e tenuti
reclusi in Aspromonte.
I due
Leuzzi non sono cugini, e l’“inesorabile acquisizione” era cominciata già da
una dozzina d’anni. Senza mai un processo, un’indagine giudiziaria, un arresto
dissuasivo – uno fra i tanti che in quelle aree si praticano a cuor leggero per
ogni evenienza. I due Leuzzi non furono cercati durante la prigionia, né dopo
si cercarono i rapitori.
“Può
anche darsi che si sia agito solo da ultimo perché al comando dei Carabinieri in
Calabria c’è il colonnello Nicolò Bozzo, uno dei collaboratori più
stretti di Dalla Chiesa”.
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