mercoledì 9 ottobre 2013

C’è la mafia quando il delitto è impunito

Ogni delitto va perseguito, è la base del diritto. Ma non ogni delitto di mafia. Al Sud e ora, si scopre con le bande sudamericane e africane, al Nord. Dove le stesse vengono docufilmate per anni, invece che perseguite: se ne fa uno show, mentre seminano la violenza. Può essere questa strategia repressiva l’origine delle mafie, il rinvio della doverosa repressione.
Al Sud questo si poteva scrivere già vent’anni fa, quando infine fu colpita la mafia dei terreni a Castellace in Calabria:
“Si fa un primo intervento in Calabria contro le «cosche dei terreni», attive in agro di Castellace, la grande area olivicola pianeggiante del comune-diocesi di Oppido Mamertina. «L’operazione “Pace tra gli ulivi” è costata quattordici mesi di indagini», si legge nei comunicati dell’Arma dei carabinieri. Ma si sapeva tutto di tutti da almeno 35 anni.
“Cos’è cambiato ora, perché ora e non prima, non all’inizio di questa feroce sovversione a danno di decine, forse centinaia, di famiglie? Malgrado le denunce, le testimonianze, le intimidazioni gravi, bombe, incendi, sparatorie? Le cosche hanno fatto un errore: hanno ordinato un assassinio, del barone Cordopatri, a un killer poco sveglio che si è lasciato prendere dai passanti, e la cosa non può passare impunita. Sono anche tempi in cui il vecchio ordine viene contestato, e la giustizia quindi si muove. Una delle cosche, bisogna dire, ha fatto l’errore, i Mammoliti, per eccesso di impudenza-impunità, le altre mugugnano scopertamente contro i Mammoliti, e forse li denunciano.
“Non c’è nulla di segreto in fatto di mafie, se non il fatto che non siano perseguite. Non in tempo utile, quando commettono le grassazioni. Come sarebbe possibile in base alle denunce e alle documentazioni. Solo – e non sempre – si perseguono quando il danno è compiuto, a titolo di esemplarità. Contro le vittime (il Sud, i possidenti, l’idea di ordine), alle quali si imputano omertà e connivenze, contro ogni evidenza.
“Oppido ha avuto un senatore e ha un vescovo, ma niente si è mosso per la legalità. Un deputato poi senatore, Salvatore Frasca, parlamentare dal 1972, che animava molte manifestazioni antimafie, in almeno due elezioni ha avuto i voti di Castellace grazie ai Mammoliti. La strada interpoderale Castellace-Amato, un collegamento infine diretto e semplice con le banche e i magazzini oleicoli di Gioia Tauro, si è fatta per l’interessamento dei Mammoliti, e dei loro patroni di Gioia Tauro, i Piromalli. Sembra fantastoria ma non lo è.
“Ai (piccoli) proprietari spossessati non è restato che pagare avvocati, sporgere denunce inutili, sopravvivere mentalmente alle intimidazioni, e pensionarsi modestamente per salvare le vite e la sanità mentale dei figli. Mentre le stesse cosche oggi perseguite – ma non carcerate, né confiscate nei beni -  hanno prosperato esentasse per almeno tre decenni e a titolo gratuito. Diversificando in impieghi ora imprendibili – grazie ai migliori consigliori finanziari, che le mafie possono permettersi. Allargandosi a dominare, indisturbate, una trentina di paesi, una plaga di 200 mila persone, lì dove un guadagno si materializzava, anche modesto – bisognava essere poveri per essere liberi. Contro tutte le sociologie della «funzione provveditrice» delle mafie, sostitutive dello Stato, della Legge, della Società: le mafie prosperano col terrore, quando si esercita indisturbato.
“L’Arma elenca «una serie impressionante di intimidazioni contro gli agricoltori della Piana». Erano tutte da tempo documentate nelle denunce e le proteste. L’inizio della storia viene datato 1974, quando “una progressiva ma inesorabile acquisizione di tutti i terreni agricoli ricadenti nel territorio della cosca, con vendite a prezzi ridottissimi, e l’intestazione delle proprietà a componenti della ‘ndrina senza precedenti penali” si avvia. I capitali si dicono procurati attraverso due sequestri di persona eseguiti in precedenza, di “due cugini dallo stesso nome”, Pasquale Leuzzi, prelevati a Delianova e tenuti reclusi in Aspromonte. I due Leuzzi non sono cugini, e l’“inesorabile acquisizione” era cominciata già da una dozzina d’anni. Senza mai un processo, un’indagine giudiziaria, un arresto dissuasivo – uno fra i tanti che in quelle aree si praticano a cuor leggero per ogni evenienza. I due Leuzzi non furono cercati durante la prigionia, né dopo si cercarono i rapitori.
“Può anche darsi che si sia agito solo da ultimo perché al comando dei Carabinieri in Calabria c’è il colonnello Nicolò Bozzo, uno dei collaboratori più stretti di Dalla Chiesa”.

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