De Benedetti voleva, e forse vuole,
Alitalia. Il marchio. La vuole per niente, cosa di cui è maestro, per
valorizzarne il nome. E per questo aspetta. Non s’è fatto e non si farà avanti
per la ricapitalizzazione in corso, perché implicherà un esborso reale. Ma mantiene
l’asseto d’informazione specializzata nel settore. Aspetta la crisi definitiva
a breve termine – la ricapitalizzazione, inadeguata, equivale a un rinvio di
pochi mesi.
Ci aveva puntato nel 2009. Non poté averla
perché Berlusconi, allora capo del governo, non lo consentì. E perché il suo ex
manager Passera architettò il piano Fenice con altri imprenditori. Da qui le accuse
ora di De Benedetti a Berlusconi e Passera, cui imputa lo spreco di “più di
cinque miliardi dei contribuenti”.
Come già per Olivetti, De Benedetti vuole
proporsi come venditore – lui e non o Stato, che non sa farlo – di Alitalia. Ai
francesi o agli arabi. Mentre utilizza il marchio per una serie di start-up nel
campo dei servizi, dal catering al turismo. Anche se il miracolo di Omnitel e
Infostrada, nate in Olivetti, sembra irripetibile. Omnitel Pronto Italia fu ceduta
dopo pochi mesi di attività al socio di minoranza Mannesmann per 15 mila
miliardi di lire, con una plusvalenza di 14.200 miliardi - l’anno dopo Mannesmann
cedette Wind-Infostrada all’Enel di Franco Tatò, altro ex manager di De Benedetti, per
11 mila miliardi. Il “miracolo” fu allora doppiato dalla leva fiscale, che
consentì a De Benedetti, passando tutto in capo a una finanziaria di diritto
olandese, Oliman, di non pagare 3.800 miliardi al fisco, il 27 per cento della
plusvalenza.
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