Il problema della scuola pubblica è
soprattutto il problema della debolezza della funzione pubblica. Si parta dal
solido: i ruoli eternamente aperti, precari.
Sono cinquant’anni ormai che la scuola
elementare e la media obbligatoria hanno un organico insufficiente. Da supplire
annualmente con incarichi a tempo, a un costo notevolmente maggiorato rispetto
all’inclusione nei ruoli. Senza contare le disfunzioni. E la demoralizzazione
degli insegnanti supplenti, ogni anno a caccia della riconferma e di una sede possibilmente
non disagiata, ogni anno ballerina. La maggior parte dei quali sono supplenti
da una vita, anche trent’anni.
Una disfunzione che interessa da un quinto a un
quarto dei docenti, la cui insicurezza si riverbera sull’insieme della scuola.
L’unico dato disponibile sul numero degli insegnanti è quello della Fondazione
Agnelli del 2009, peraltro ricostruito con difficoltà dalla stessa Fondazione –
ma con approssimazione realistica nei rapporti tra le varie categorie. Degli 840 mila docenti che prestavano servizio
nella scuola statale nell’anno scolastico 2007-08 (750 mila ordinari, più 90
mila di sostegno), circa 700 mila erano assunti a tempo indeterminato (di ruolo). Dei restanti 142 mila, circa 22 mila erano
assunti a tempo determinato annuale (ossia con un contratto da settembre a fine
agosto successivo), mentre 120 mila lo erano a tempo determinato “fino al
termine delle attività didattiche” (con un contratto da settembre a giugno).
Considerando anche i 100 mila impegnati in supplenze brevi, il totale dei
docenti precari che nel 2007-08 lavoravano nella scuola pubblica superava le
240 mila persone. Le cifre sono variate solo lievemente da allora, gli
annunciati programmi di stabilizzazione sono in grande misura inapplicati – per
mancanza di risorse, per grovigli amministrativi, per la costante ristrutturazione
degli stessi istituti scolastici.
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