“Il Verbo che esisteva dall’eternità,
Dio in Dio” si manifesta con Cristo a coloro “solamente ai quali egli ha dato
il potere di essere fatti figli di Dio”. Un testo risolutivo, in questo
incipit, contro i turbamenti del papa e del mondo, attento nel 1655 ai dubbi di
Barthes, Roland Barthes, e di Scalfari. Il seguito è una sinossi affascinante
della vita pubblica del Cristo, in 354 svelti punti. Nei quali Michele
Ranchetti, che questa riedizione ha voluto, riesce a individuare una scansione
musicale. Ma si rilegge tuttavia con sorpresa, per quanta dimestichezza uno
abbia dei Vangeli.
Pascal riprende, con Giansenio e
Arnauld, il progetto di sant’Agostino, di collazionare i Vangeli. Con due
novità, nota Ranchetti: usa il francese invece del latino, e ci mette
l’esperienza personale della “scoperta di Dio”, da libertino convertito. È un
testo quindi di uso pubblico. I Vangeli sono scanditi in unità di tempo e
luogo. Per un’esposizione orale, come alla lavagna, o una rappresentazione
teatrale, in armonia col gusto del tempo – una sacra rappresentazione, più
raffinata, secca. Oggi si direbbe un trattamentone, una rima sceneggiatura. Perché
non sarebbe un copione per una delle “piccole scuole” gianseniste che
gravitavano attorno a Port-Royal, cui Pascal fu addetto per qualche tempo?
Più volte Pascal sottolinea l’evidenza:
che Gesù è ritenuto un folle, dai parenti e dai suoi stessi miracolati. Nietzsche,
“Il nichilismo europeo”, § 13, dice Pascal “disperato”: “Comprese che anche la
sua conoscenza doveva essere corrotta, falsificata – che la rivelazione è necessaria per capire il
mondo, anche in modo negativo”. In “Al di là del bene e del male”, III, § 62,
l’aveva detto “volontariamente imbastardito e diminuito”, in quanto convertito,
professo cristiano. Qui sembra piuttosto innamorato.
Blaise Pascal, Compendio della vita di Gesù Cristo, Quodlibet, pp. 81 € 9
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