Scorrendo a distanza di un anno questa
raccolta di 90 “pezzi” della rubrica dallo stesso titolo del settimanale “Plus”
del quotidiano della Confindustria, pubblicata a fine settembre 2012, con dati
quindi vecchi di uno e due anni, in parte ancora del 2010, si può fare già una “storia”
della crisi stessa. Ma più si resta colpiti dalle insidie e dalla gravità della
recessione. Insidie non solo delle banche e i finanzieri, ma anche, anzi
soprattutto, degli Stati, l’uno contro l’altro, e più nella zona euro.
Una trama violenta si disegna a distanza.
L’Italia era “paragone della virtù di bilancio” a metà 2010, sulla base dei
dati Ocse 2007-2010, con il deficit di bilancio più basso rispetto agli altri paesi
industriali. Il saldo in termini di pil era anzi “attivo”, migliorato di 0,2
punti, tra il 2007 e il 2010, dall’1,3 all’1,1 del pil, una volta “corretto
dagli effetti del ciclo” (cioè dall’aumento dei tassi), rispetto agli Usa (- 4,9),
all’Eurozona (- 1,9) e al Giappone (- 1,4). Ma il debito non condiziona le
economie: il paese che più si è indebitato nella crisi è quello che ne esce
meglio, gli Usa, seguiti dalla Gran Bretagna, che anch’essa si è indebitata,
quasi come gli Usa. Comprando Treasury a man bassa, nel 2007 e dopo, la Federal
Reserve Usa ha moltiplicato i suoi utili: erano aumentati del 26 per cento tra il
2002 e il 2008, aumentarono del 47,4 nel
2009, del 79,3 nel 2010 e del 76,9 nel 2011. Utili riversati all’azionista
Tesoro, che così si è ripagato di buona parte degli interessi sui suoi Treasury.
Mentre la virtuosità fiscale, non solo non premia, ma non protegge dalla crisi.
Può non proteggere: è il caso della stessa Italia.
“Questa scomoda virtù è stata scelta da
governo Berlusconi per timore che un allargamento del disavanzo di un Paese ad
alto debito venisse male interpretato dai mercati e punito con l’aumento dei
tassi, se non addirittura con le aste deserte”, scrivevano Fabrizio Galimberti
e Isabella Della Valle all’inizio del 2011. Ma non bastò contro l’assalto della
Germania, tramite le vendite della Deutsche Bank, il blocco delle istituzioni
europee, Bce e Consiglio, e dichiarazioni a catena contro l’Italia, della Bundesbank
e del ministro del Tesoro. Col sostegno di una “Milano” ben oleata dalla Germania, soprattutto i
giornali, e poi col governo Monti – la contabilità non conta, la verità ha sempre
un padrone..
Fabrizio Galimberti, Isabella Della
Valle, Dietro i numeri. Una cronaca
della grande recessione, Il Sole 24 Ore, pp. 95 € 0,50
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