Monologa Nanni Moretti nel libro
di Damilano, “Chi ha sbagliato più forte”, secondo l’anticipazione oggi di “Repubblica”,
contro il Pd. Contro tutto il partito
Democratico. Al coperto dell’antiberlusconismo, ma nel mirino dell’attore-regista
c’è solo il Pd, che sarebbe il suo partito. Con toni anche livorosi, seppure
con la tecnica dell’annessione – di Veltroni contro D’Alema, di Prodi contro Bertinotti,
di Di Pietro contro Veltroni.
Moretti salva solo Prodi. Cioè
Renzi. Ma forse non è opportunismo: è una sindrome non inconsueta, soprattutto a
sinistra. In cui non si dice o si propone che fare, ma si litiga con questo e
con quello. Un fatto di piccolo protagonismo. Che il Pd ha sancito con le
primarie aperte: tutti buoni alle primarie, senza mai una selezione. E tutti vincitori
morali. Primarie che solo consolidano una piccola burocrazia di partito. Informale
e quindi incontrollabile. Non remunerata, e quindi esposta alle tentazioni del
(piccolo) potere.
È anche un modo
d’essere, questo dell’acrimonia, connaturato all’intellettuale. Ricorre infatti
nei giornali, le riviste, i talk show, la saggistica, l’editoria, l’università.
L’“operatore culturale” di sinistra esaurisce il suo compito nell’accusa a
questo e a quello. Mai autocritico.
Nella
conversazione con Damilano Moretti fa dei suoi girotondi l’apoteosi dell’utopia.
Può essere, l’unica foto in cui Moretti sorride è dei girotondi. In compagnia
di Occhetto (Occhetto?) e Di Pietro – il galantuomo
che prese cento milioni da un suo indagato,
anzi da uno che aveva fatto carcerare, e i glieli restituì, in bigliettoni,
in una scatola da scarpe, e non è una gag da film, Moretti non si accorge di
farla.
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