Fra
orchestra e coro mancavano “oltre trenta titolari” nella tournée in Giappone il mese scorso. S’erano messi in malattia o in
aspettativa, avendo altre attività da accudire. Anche dopo, all’inaugurazione
della stazione sinfonica, l’orchestra si è presentata “con un organico
dimezzato, riempito di aggiunti”. Mentre al ritorno dal Giappone, “nei tre
giorni di riposo compensativo rivendicati al teatro per riassorbire le fatiche
della tournée e del jetlag”, l’orchestra “teneva già un
concerto a Parma come Filarmonica, ovvero nell’ambito dell’attività «privata»”.
Questo
succede a Milano, tra orchestra e coro della Scala. Lo denunciano gli stessi
direttori della Scala. Lo denunciano dopo che l’orchestra e il coro li hanno
criticati con una lettera al sindaco e al “Corriere della sera”. Una brutta
storia, con risvolti da codice penale (assenteismo, truffe) oltre che etici e
di deontologia. Ma succede a Milano.
“Poche righe dalla forma impeccabile”, aveva
scritto ieri il “Corriere della sera”, citandone poi una cinquantina. E quanto
alla forma senza interpellare i direttori della Scala. La difesa dei direttori
della Scala il “Corriere della sera” ha confinato oggi alla posta nella pagina
delle opinioni.
I
direttori dicono la protesta dell’orchestra e del coro “l’ennesimo esercizio di
un’arte squisitamente italiana, in tempi di crisi: la volontà e il piacere di
autodistruggersi”. E può essere che sia “un’arte italiana”, ma imposta da
Milano. Che alla sua ombra ci prospera. Dando degli stupidi ai giapponesi, che
agli spettacoli della Scala sono accorsi in massa, pagando 500 euro, a biglietto.
La
lettera dei direttori ne è un altro esempio. “Crediamo sia venuto il momento di
sollevare il velo”, scrivono Perché lo tenevano abbassato? Dicono anche che la
lettera al sindaco e al “Corriere della sera” è “parte di una strategia che
persegue scopi non chiari”. Che non dicono.
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