La Colpa, nonché non essere tedesca, non
potrà non essere yankee quando la
storia si rifarà, c’è solo da aspettare - nel quadro della Colpa che presto
sarà oggettiva, degli eventi, la storia, le vittime. Delle bombe di Eisenhower
– nonché di Curtis LeMay l’incendiario, quando il Giappone riavrà fiato per
parlare. L’Usbus di Galbraith, US Strategic Bombing Survey, aveva accertato già
subito dopo la guerra l’inutilità militare dei bombardamenti: gli Alleati
distrussero le città tedesche e gli abitanti ma non l’industria bellica, che
anzi, riconcentrandosi, divenne più efficiente. Kurt Vonnegut già nel 1969, un
letterato dunque americano, benché d’origine innegabilmente teutonica, aveva
per primo narrato l’inferno di Dresda, la città distrutta dalle bombe. Ma la storia
freme ancora di essere ricostruita.
La Germania tace, per pudore. Ma Sebald la
denuncia l’ha fatta già quindici anni fa, in “lezioni memorabili” dice l’editore
italiano che lo patrocina. A Zurigo, piazza neutra. Da scrittore tedesco anglofilo:
la Colpa è degli inglesi, anzi degli americani. La Colpa è dei tedeschi solo
per la viltà, che mostrano nel non denunciare la vera Colpa. Sembra una
vertigine, e lo è. Il bruto negazionismo respinge e tiene solidi, la buona
scrittura rarefa l’aria e dà le allucinazioni.
Le bombe in città le ha divisate la
Luftwaffe, su Guernica, Coventry, Londra, Stalingrado, e sulla Francia che
fuggiva per le strade di campagna, mitragliata a vista. Pure la strategia suona
tedesca: a regimi di massa bombe di massa - Hitler, che “alla radio aveva una
bella voce”, attesta Peter Handke, amava pianificare con gli slogan. Ma gli
americani ne sganciarono di più – senza contare la Bomba. Questo è vero e
Sebald può darne il conto, esattamente, come si addice a un buon, malgrado
tutto, tedesco: oltre un milione di
tonnellate, su 131 città, con 600 mila morti. E molti fermi immagine. Una madre che vaga col cadavere carbonizzato del bambino
dentro la valigia. La lavavetri dell’unico edificio rimasto in piedi in una
piazza di macerie. La famiglia che prende il caffè al balcone di casa malgrado
le bombe. Il libraio che vende sottobanco le foto dei cadaveri in strada, delle
rovine, degli incendi. Per finire con gli elefanti dello zoo di Berlino, che
bruciano barrendo e scalciando furiosamente. Intollerabili, anche autolesionista - è propaganda di guerra, un po’ scopiazzata dagli americani (“testimonianze oculari di implacabile precisione”,
garantisce l’editore italiano simpatetico).
La Germania non è in guerra e non
fa propaganda. Non ancora. Anzi, la distruzione della Germania è in Germania
ancora tabù. Ma è matura. Si cominciano a contare i prigionieri di guerra lasciati
morire nei campi alleati. E siamo a tre motivi di rivalsa, dopo l’affondamento
della “Gustlof”, la nave scuola della Marina, che fa ancora piangere Günther
Grass di commozione, e le bombe. E gli stupri dei negri, di cui in Jünger? C’è
sempre materia per rifare la storia.
Winfried E. Sebald, Storia naturale della distruzione, Adelphi, pp. 136 € 16
Sebald può procedere indisturbato
in quanto non sospettabile, anglofilo e quasi cittadino britannico. E non è negazionista, né è pacifista, contro tutte le
bombe: è revanscista. Molto thomasmanniano, molto spiacevole.
Il primo saggio non riequilibra la storia, essendo tutto pencolato sulla colpa anglosassone: la storia non si decontestualizza. Il secondo saggio è un attacco polemico a Alfred Andersch, non spiegato, incomprensibile a un lettore che non sia un letterato tedesco - e uno avvezzo alle polemiche. A meno che Sebald non voglia dire che Andersch era un finto comunista e un vero nazista, cosa che certamente non è vera. L’attacco si legge come i
sarcasmi di Thomas Mann sui letterati francofili, cioè su suo fratello Heinrich:
il nazionalismo degli scrittori urtante.
Il primo saggio non riequilibra la storia, essendo tutto pencolato sulla colpa anglosassone: la storia non si decontestualizza. Il secondo saggio è un attacco polemico a Alfred Andersch, non spiegato, incomprensibile a un lettore che non sia un letterato tedesco - e uno avvezzo alle polemiche. A meno che Sebald non voglia dire che Andersch era un finto comunista e un vero nazista, cosa che certamente non è vera.
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