Adulterio
– Non è
più tema letterario da molto tempo, da Moravia. A causa anche di Moravia, che in
dibattito con Piovene nel 1961 chiedeva il divorzio “in quanto diminuisce le
possibilità di adulterio e tutto quello che c’è di peccaminoso nell’adulterio”.
Un fatto d’igiene dunque, spirituale. E aggiungeva: “Nei paesi in cui vige il
divorzio, l’adulterio è severamente condannato ed è difficile; il contrario
invece avviene n Italia: il divorzio non c’è ma l’adulterio è frequente”.
Questo non è vero – anche se non l’Istat non ne fa la rilevazione.
Belli Del tutto trascurato nel centocinquantenario della morte, dall’Italia e da Roma – i sindaci Alemanno e Marino uniti nella lotta. Non un convegno, uno studio, una riedizione nemmeno una curiosità – giusto un concerto-dizione di Popolizio e Sparagna al Parco della Musica. Per un forte poeta e anche uno che ha tenuto e tiene viva la “cultura popolare” – dialettale, burlesca, reale. Soffre il destino di tutta la letteratura, ma più di quella scanzonata e satirica. Che l’Italia sa praticare meglio di ogni altro genere, ma non digerisce.
Higgs – Alcuni miliardi e un’organizzazione immensa per provare l’origine dell’universo in ipotesi. Miglior Nobel sarebbe stato Leopardi, anch’egli materialista, che lo disse meglio senza spese quasi due secoli prima, agosto 1823, “Zibaldone”3237: “Chiunque esamina la natura delle cose con la pura ragione, senz’aiutarsi dell’immaginazione né del sentimento,… potrà ben quello che suona il vocabolo analizzare, cioè risolvere e disfar la natura, ma e’ non potrà mai ricomporla”. O meglio Vico – nella sintesi di Walter F. Otto: della natura e del mondo non si dà sapere, scienza esatta, tale sapere è proprio solo di Dio, che ha fatto le cose, se noi potessimo conoscerle, possederemmo anche il potere di farle – ciò che con precisione sappiamo di esse sono soltanto misure e numeri, che hanno la loro origine in noi stessi”. Meglio, magari, la verisimiglianza, direbbe ancora Vico, la rivelazione delle cose all’immaginazione e alla sensibilità. Non arbitraria come sembra, dice Leopardi, “Zibaldone” 3383: solo l’immaginazione e il sentimento “sono atti a concepire, cerare, formare, perfezionare un sistema filosofico, metafisico, politico, che abbia…il più possibile di simile al vero”.
Meridiano - Il suo “pensiero
meridiano” Franco Cassano generosamente apparenta a Camus, alla sua pensée de Midi, la misura. Parente lo dice anche del “grande meriggio” di Nietzsche,
ma disteso - organizzato e insieme lieve: non la solita fuga da se stessi ma
l’apertura della nozione di confine (“frontiera, confine, limite, bordo, margine sono anche l’insieme dei punti che si
hanno in comune”) all’incrocio fra le culture. Il paradigma Cassano riporta a
Camus – un richiamo che fa il “pensiero meridiano” doppiamente eterodosso.
La pensée de Midi è concetto filosofico, al centro dello “Uomo in
rivolta”, la riflessione che Camus elaborò sul finire della guerra per
spiegarne le efferatezze - un testo che lo porterà alla rottura con Sartre e
alla condizione di proscritto. È un altro modo per dire la “giusta misura”, in
contrasto con una certa idea dell’idealismo tedesco, quella di Hegel – che Sartre
aveva mutuato. Quella che inevitabilmente sconfina in una sovraesposizione dell’individuo
senza limiti, né di legge né etici, e quindi agli eccessi distruttiviMa con la stessa pensée
de Midi Camus figlio d’Algeri, Camus l’algerino, si rappresentava un mondo
di immagini e ricordi “sostantivanti”: in grado di tenerlo su contro le intemperie
e gli scoraggiamenti. Tanto più che si sentì sempre a Parigi una sorta di
straniero in patria: il pensiero del Sud, soleggiato anche se piovoso, e
fiorito anche se in abbandono. Sia nell’ “Uomo in rivolta” che altrove,
Camus ritorna costantemente sulla giusta misura che identifica nel
Mediterraneo, in un mondo “naturalmente bello”, cioè nella sua Algeria, nella
Provenza, dove scelse di rifugiarsi, nell’Italia e nella Grecia.
“La pensée de Midi” è ora una rivista di Marsiglia, fondata
nel 200 da Thierry Fabre, che spazia su letteratura, storia e sociologia.
Neo realismo
– È la linea maestra della narrativa italiana, da Manzoni a Verga e a Pasolini
– e all’innumerevole congerie che fa la letteratura italiana di questo
millennio, poesia e prosa. Sotto le specie della storia, del verismo,
dell’impegno politico– la “protezione” dei poveri, delle donne, dell’ambiente,
dei bambini, degli immigrati. Italiana in senso proprio, unitaria e civile. Silvio
Pellico nelle disgrazie resta polimorfo, sa pure sorridere.
Proust – È Rousseau? Tutto è nelle “Confessioni”: la lunga durata, il ricordo
incidentale, un profumo, un sapore, un colore, i personaggi senza spessore,
solo vive e prospera l’Autore, in una scena affollata, di personalità sempre,
ma poco memorabili in sé, solo utili a ispessire e elevare l’Autore. Di proustiano
Proust ha la riscrittura, interminabile – scrittura di riscrittura. Che gli è
stata condonata e poi ha costituito riserva inesauribile di filologia.
Pound – Specialista, alla scuola di Yeats, del recupero
del mito. Prima di Joyce dell’“Ulisse”, di cui fu per questo il maestro, della
contemporaneizzazione-rivitalizzazione del mito – di cui l’altro suo
“discepolo”, T.S.Eliot attribuirà perfido il merito invece a Joyce (“ha
l’importanza di una scoperta scientifica”, nel saggio “Ulysses, Order and
Myth”).
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