domenica 27 ottobre 2013

Letture - 151

letterautore

Bar – È  trasmigrato dallo sport alla letteratura. Malvaldi dopo Benni, con la saga del Bar Lume e con “Argento vivo”, e altri caratteristi, i vecchietti nelle pause della briscola, i pensionati che ci pensano su sorseggiando l’aperitivo, qualche vecchietta pure, ci vuole, con la sua “ombra” furtiva all’angolino. È il luogo della socialità italiana, come di quella americana. Lì però da alcolisti, violenta, qui da passatempo. Per noir all’acqua di rose.
Best-seller – “Due edizioni in un giorno”, vanta una pubblicità Garzanti. Nel senso che, esaurita la prima, se ne avvia una seconda? O è come dal panettiere dopo la carestia, che si inforna in continuazione? Ma c’è carestia di romanzi?
Dostoevskij – Nietzsche lo mette, in un frammento della primavera 1888, tra “i pessimisti moderni” come decadenti. Bisognava pensarci.

Filologia A lungo, e ancora, dominante, via ermeneutica. Leopardi, grande filologo, appassionato, ne aveva bassa opinione. A meno che il filologo non fosse poeta, scrittore. Nietzsche condivide l’esenzione che Leopardi accordava ai “filologi-poeti” del Rinascimento, e in generale a quelli che “sanno scrivere”.
Leopardi era severo: “Non basta”, al filologo, “essere assuefatto a scrivere, ma bisogna saperlo fare quasi così perfettamente come lo scrittore che hassi a giudicare”.
Galiani – Nietzsche lo dice migliore di Voltaire, nel frammento sul “Pessimismo tedesco”. Dichiarando se stesso, “quanto a iluminismo, due secoli avanti a Voltaire e anche a Galiani”, fa seguire l’inciso: “Che era qualcosa di molto più profondo”. Ora sparito, non solo di fronte a Voltaire.
Intellettuale – Nel “Giornalino Secondo” Sanguineti ricorda che a Sciascia disse, nel giugno del 1977, quando Moro era ancora vivo e faceva i governi ma le cose non andavano proprio bene: “Caro Sciascia, a rischio di apparirti fortemente indiziato di masochismo, io ti confesso che godo, per qualche verso, nel mio ruolo di consigliere comunale, anzi proprio di votante con la mano”. All’intellettuale che Sciascia vuole segnato a grandi cose e alla ricerca della verità, Sanguineti oppone le “piccole cose” che il buon cittadino si sente onorato e ha l’obbligo di fare. La polemica se non la cosa – Sanguineti non era così semplice – non sembra delle più acuminate.

Pochi mesi dopo la lettera di Sanguineti, Sciascia si preciserà così sulla “Stampa” (l’articolo Vecellio inserirà in “La palma va a Nord”): “L’intellettuale è uno che esercita nella società civile  - almeno dall’affare Dreyfus in poi – la funzione di capire e i fatti, di interpretarli, di coglierne le implicazioni anche remote e si scorgerne le conseguenze possibili”, mosso “dall’amore alla verità”. In armonia con la fase profetica di Pasolini, quello dell’ “io so”  del novembre 1974, un anno prima della morte: “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentati di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano, regnare l’arbitrarietà, la follia, il mistero”. Compito immane, dare coerenza, subito, al “quadro politico”. Che Sciascia, se ci avesse ripensato, come ebbe poi a fare con “L’affaire Moro”, avrebbe probabilmente rigettato o trascurato. Col Montaigne che cita nel racconto “La sentenza memorabile” (1982): “I nostri ragionamenti anticipano spesso i fatti”. Vagando: “Giudicano e si esercitano sulla vanità stessa e sulle cose che non sono”.
L’affare Dreyfus implicava un esercizio di verità su una falsità manifesta: schierarsi era un atto politico e non di verità, che era nota.

Nel “Compendio della vita di Gesù Cristo” Pascal evidenzia che, “venuto al Tempio”, a insegnare e discutere, “pone in evidenza i vizi nascosti degli scribi”. Questo è evidente, anche i non credenti. 

Leopardi – Ghiotto di gelati lo fa Ranieri, e infelice, per il petto gracile, ingobbito. Ma
soprattutto era ghiotto di bellezza, nella forma di “donne belle”, “avvenenti”.

Letterat-Usa – Roger Hobbs, nuovissimo Grande Scrittore Americano – ce n’è uno al mese – si presenta su “Repubblica” con piglio del noir. Come lavora? “Faccio ricerche sul campo: entro nei bar ad alta densità malavitosa, mi porto molti pacchetti di sigarette, mi preparo ad offrire parecchi giri di whisky e inizio la mia indagine”. Ma non è proibito fumare al bar? Hobbs esibisce peraltro una faccia da bamboccio, impossibile da vedere in un bar di malavirìtosi, e con la quale comunque nessun malavitoso se la farebbe. Magari è anche un buono scrittore, ma l’autore Usa deve ammannirci, da un secolo buono, una biografia un po’ maledetta. Prima fu il carpentiere-manovale. Poi il bucaiolo, la generazione beat. Ora, si vede, il marketing premia l’immagine del buono all’inferno – seppure globalizzato, sanitarizzato e quasi da Salvation Army. Mentre sono sempre letteratissimi, come lo erano quelli con le ghette, Hawthorne o Henry James, e più i “vitalisti”, Hemingway, Kerouac, Foster Wallace.

MillennioSulla base, non infondata, dei “Saggi di psicologia contemporanea” di Paul Bourget 130 anni fa, si può dire il Millennio frivolo e disappetente. Con guerricciole umanitarie qua e là, per il frizzo delle armi – ma più che altro fanno sbuffi, mulinelli di polvere. Va a piccoli assaggi, epoca  dell’aperitivo. Incostante. Incapace di proposte di qualche interesse, a parte l’“immagine” dell’autore, e ad esse non interessato. Ondivago.

Bourget, applicando il principio di Taine, che la letteratura voleva “psicologia vivente”,  fece un’analisi psicologica degli autori dell’Ottocento, che ancora si fa leggere: dello stesso Taine, Stendhal, Baudelaire.

letterautore@antiit.eu

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