Questi papi da twitter
e talk-show lasciano perplessi. Papa
Francesco che scrive a “Repubblica”, papa Ratzinger che scrive a Odifreddi, e
nel mezzo il cardinale Ravasi che convita i direttori dei (grandi) giornali.
Non contento, papa Francesco ha invitato Scalfari a una (prima) intervista. Ad appena
nove giorni dalla quale un libro è in bella vista in libreria, candido,
rilegato, sovracopertinato, a prezzo popolare, con una serie di commenti, di Mancuso,
Ceronetti, Prosperi, Umberto Veronesi, Cacciari tra gli altri, della romanziera
Veladiano, e di due eresiarchi, i teologi Hans Küng e Leonardo Boff. Tutto cronometrato per la “Repubblica delle Idee”, la manifestazione del giornale da oggi a domenica a Venezia avrà un menù succulento. Libertino
anche, un po’, quanto i tempi moralisti permettono, grazie ai ruoli rovesciati.
Si prenda l’intervista dell’1 ottobre. Scalfari ha una
segretaria, il papa no, telefona lui per fissare gli appuntamenti. Vuole essere
simpatico e lo è. Riceve Scalfari in uno studiolo di squallore monacale, “una
piccola stanza spoglia”, pare di capire in un seminterrato, con l’odore di lisciva, seppure non detto, “un tavolo e cinque
o sei sedie, e un quadro alla parete” – di santo o santa, è probabile, ma nessuno
ci fa caso. E lascia a pontificare Scalfari. Scalfari ha gli aneddoti buoni. Di
quando, già adolescente, era ancora chierichetto – perse la fede studiando
Cartesio, racconta, quindi alla seconda liceo. Dunque la grazia l’ha abbandonato?
Ma il papa non interloquisce. O di quando, a vent’anni, si rifugiò dai gesuiti
per non fare il militare per i tedeschi, e i gesuiti fecero fare ai renitenti gli
esercizi spirituali per tutto il tempo, un mese e mezzo (“ma è impossibile
resistere a un mese e mezzo di esercizi spirituali”, dice il papa “stupefatto e
divertito”). Poi smonta sornione il papa col narcisismo. Da cui l’uno e l’altro
naturalmente rifuggono. Ma è qui che il papa dice la frase famosa: “La corte è
la lebbra del papato”. Salvo precisare che non si tratta degli uffici romani,
della Santa Sede - chi allora, i
cardinali che lo hanno eletto? Mentre Scalfari, tutto buono, riconoscente,
prosternato, tira fuori l’artiglio e si professa “senza anima”, da vero narcisista.
Poi fa il
teologo, lo fa Scalfari. E qui bisogna rileggere per credere: “Credo nell’Essere,
cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti”. E incalzato dal papa: “L’Essere
è un tessuto di energia. Energia caotica ma indistruttibile e in eterna
caoticità. Da quell’energia emergono le forme quando l’energia arriva al punto
di esplodere. Le forme hanno le loro leggi, i loro campo magnetici, i loro elementi
chimici, che si compongono casualmente”. Un po’ di positivismo, aggiornato alla
complessità. E il papa? Vuole una chiesa di “poveri tra i poveri”.
Poveri tra i poveri
Un papa semplice non è un peccato. Ma è da vedere se è un buon papa, per la sua chiesa, per l’epoca, per il ruolo che gli è affidato da credenti e non. Rifare tra i furbi il giullare di Dio. Forse è inevitabile, nell’incontro fra un papa e un giornale è il giornale che si arricchisce, lo scambio l’avvantaggia. Commenta Prosperi, lo storico: “La partita che si è aperta riguarda la morale”. Ma leggendole insieme, sia l’intervista del papa che la lettera, è come una partita tra Bonucci e Messi in cui il numero 10, lusingato dal difensore, non sparasse mai in porta: una partita stucchevole. Tra i corrispondenti, Mancuso e Ceronetti lo dicono pure. Ceronetti con più piglio: non c’è partita, “entrambi gli interlocutori hanno in comune il soffio di una spiritualità morta”.
Un papa semplice non è un peccato. Ma è da vedere se è un buon papa, per la sua chiesa, per l’epoca, per il ruolo che gli è affidato da credenti e non. Rifare tra i furbi il giullare di Dio. Forse è inevitabile, nell’incontro fra un papa e un giornale è il giornale che si arricchisce, lo scambio l’avvantaggia. Commenta Prosperi, lo storico: “La partita che si è aperta riguarda la morale”. Ma leggendole insieme, sia l’intervista del papa che la lettera, è come una partita tra Bonucci e Messi in cui il numero 10, lusingato dal difensore, non sparasse mai in porta: una partita stucchevole. Tra i corrispondenti, Mancuso e Ceronetti lo dicono pure. Ceronetti con più piglio: non c’è partita, “entrambi gli interlocutori hanno in comune il soffio di una spiritualità morta”.
Il teista Mancuso
cattura Scalfari con l’illuminazione - ma di sbieco, Scalfari non deflette: “Credo
alla luce che è in me laddove splende nella mia anima ciò che non è costretto
dallo spazio e risuona ciò che non è incalzato dal tempo. Quella luce ci
permette di superare noi stessi” e pervenire a Dio. Quasi un calco di Goethe,
che ci ritrova pure la “natura”: “L’occhio deve la sua esistenza alla luce. Di indifferenti organi ausiliari animali la luce
fa un organo che sia il suo pari, e così alla luce si forma l’occhio in
funzione della luce, affinché la luce interna incontri l’esterna” - Goethe i
teologi a torto trascurano, di professione e non, come del resto Spinoza. La
domanda in che cosa credi è insidiosa, la complessità è complessa.
Papa Francesco-Eugenio
Scalfari, Dialogo, Einaudi-la
Repubblica, pp. 160 € 8,90
Ma, poi, non si
tratterà di un po’ di esibizionismo? Già Prezzolini si scrivevano con Paolo VI, senza clamori.
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