Ateismo – “E se Dio e il diavolo
fossero atei?”: il quesito di Antonio Veneziani non è solo irrispettoso, come di
può supporre del poeta burlesco, l’ateismo è una professione di fede.
Fondamentalismo
– È (si
può dire) l’ateismo più radicale. Il
fondamentalismo, riportando la religione alla distruzione, ripropone
l’inaccettabilità del messianismo, della rivelazione esclusiva – non del
monoteismo in sé, ma di quello che si vuole esclusivo perché “opera” di un
profeta. Finisce per escludere dal sentimento religioso, che è riconoscimento e
riconoscenza di e a Dio, proprio i monoteismi più rigidi.
Guerra – In greco è maschile , polemos. È di tutte le cose “grandi” è
padre e non madre. È maschilista l’Eraclito bellicoso, è patriarcale e
dominatore, e non mistero generativo: “Polemos di tutte le cose è padre”, nella
traduzione di Giorgio Colli, “di tutto poi è re; gli uni manifesta come dei, gli altri invece
come uomini; gli uni fa esistere come schiavi, gli altri invece come liberi”.
Memoria
– La figura di Adriano Olivetti non è ancora arrivata sullo schermo che tutti
quelli che vi hanno contribuito già ne danno una lettura diversa. Non si sa
fino a che punto il personal computer fosse stato elaborato da Olivetti, e sia
stato poi ceduto alla General Electric. Laura, la figlia, afferma che fu
Valletta: “Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat, che dopo la
morte di mio padre era diventata azionista di Olivetti, a metà degli anni
Sessanta disse che la divisione elettronica era «un neo da estirpare»”.
Sottintendendo: lo disse per favorire General Electric, la società Usa, con la
quale la Fiat era in affari per i motori di aviazione. Ma General Electric non
era nell’informatica.
La figlia di Mario Tchou, l’ingegnere mago
dell’elettronica che morì in un incidente d’auto poco più che quarantenne, deve
protestare indignata contro ogni ipotesi di complotto: suo padre morì proprio
in un incidente, una leggerezza dell’autista, che morì anche lui.
Molto diverse anche tra i figli le letture
della vita affettiva di Adriano Olivetti. E dell’eredità cui gli stessi figli non erano preparati.
La memoria, più che condivisa, più spesso è
divisa: separa, allontana. Discrimina come sempre: quella personale e quella
storica – se ce n’è una.
Ottimismo
– È
necessario al creativo. Anche al più pessimista. Al quale si richiede, per esempio
al grande pessimista Baudelaire, costanza di giudizi e intelligenza, oltre
all’applicazione. Che per il genio è più faticosa che per ogni altro, ma è
incessante, è un habitus, “lavorare”. Non senza forza quindi, o allegria.
Leopardi lo riconosce in un frammento del 24
giugno 1820 (“Zibaldone”, 126): “Quantunque chi non ha provato la sventura non
sappia nulla, è certo che l’immaginazione e anche la sensibilità malinconica
non ha forza senza un’aura di prosperità,
e senza un vigor d’animo che non può stare senza un crepuscolo un raggio
un barlume d’allegrezza”. O Nietzsche, che scrivendo a Gast il 3 settembre 1883
così spiega la tetraggine di cui deve
avvolgere Zarathustra: “Così vuole il piano. Ma per poter fare codesta parte,
prima ho bisogno io stesso d’una allegria profonda, celeste” – il “patetico
della più alta qualità” può riuscire “solamente come giuoco”, e “alla fine tutto
diventa luminoso”.
Pessimismo
– È
indotto dalla scienza, afferma il secondo Nietzsche risoluto: è l’umanesimo
scientifico che approda al nichilismo, “alla decadenza del sentire e del
valore”.
Il pessimismo rigenerativo è classico, greco.
Quello contemporaneo, “tedesco”, Nietzsche fa derivare (“Il pessimismo
tedesco”, frammento del giugno-luglio
1885) dall’illuminismo: “Verso il 1770 si notava già la serenità scemare”.
Dall’illuminismo non in quanto scienza e sapienza ma delimitazione
(diminuzione) delle stessa.
Meglio ancora in un frammento di tre anni più
tardi, Nietzsche individua “le filosofie del pessimismo” come “fisiologicamente
decadenti”. Dei “pessimisti moderni”,
che elenca: Schopenhauer, Leopardi, Baudelaire, Goncourt, Dostoevskij tra essi.
Ma secondo lo stesso Nietzsche, frammento della
primavera 1878, è effetto della cattiva digestione: “I pessimisti sono persone intelligenti con lo stomaco
rovinato: col cervello si vendicano della cattiva digestione”. E non si sa che
pensare – di Nietzsche.
Religione – L’inutilità più utile. O la più inutile delle
necessità. Non connessa alla verità, non è nella sua natura – è l’errore più
comune della critica scientista. L’uomo sarà quello che Zhaung-zi diceva
dell’albero secolare: “Quest’albero è davvero inutilizzabile! Per questo ha potuto
raggiungere tale altezza. Già, l’uomo divino è anche lui null’altro che legno
inutilizzabile”. La storia del Cristo – di storia tra l’altro si tratta,
documentabile – è più di un mondo per il cristiano (colui che sa goderne).
Ricerca – Più del riso è il proprio dell’uomo (il mito
di Ulisse), con le derivate di infinito e eternità. L’affinamento costante non
solo, che è attività artigianale, allineata col fare, con l’accumulo di esperienze
e la progettualità. Ma questa piuttosto, allargata “oltre” la verità e il bene,
a un più inesauribile di verità e di bene che fatalmente è sempre oltre.
Incostanza? L’insoddisfazione è il segno dell’uomo. Anche la rassegnazione si
ambienta in un quadro multiplo, sotto la cenere cova sempre la rivolta – il risveglio,
lo stimolo.
Riso – Leopardi e poi, con lui, Nietzsche, lo
connettono alla sofferenza. Nelle “Operette morali”, al “Dialogo di Timandro e
di Eleandro”, ne fa cenno: “Dicono i poeti che la disperazione ha sempre nella
bocca un sorriso”. E nello “Zibaldone”, 188, 26 luglio 1820: i pazzi “più
malinconici e disperati” ridono più di frequente, “cosa però notabilissima
anche nei savi ridotti alla intiera disperazione della vita”. Nietzsche può
precisarsi con orgoglio: “Forse so meglio di tutti perché solo l’uomo rida:
solo lui soffre così profondamente da aver dovuto
inventare il riso ,è giusto che l’animale più infelice e melanconico sia anche
il più allegro”.
zeulig@antiit.eu
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