Amicizia
– È il
rivelatore di sé stessi: si è se stessi nel confronto con persona-e vicina-e.
Si è per il resto dispersivi: la vita di relazione – e ogni vita è di relazioni
– è dispersiva, anche quando si vuole formativa, a scuola, sul lavoro, nelle
attività sociali, politiche, umanitarie. Si finisce per trascurare se stessi,
anche qualora se ne abbia grande o grandissima opinione, nel senso che si alleviano,
si trascurano o si obliterano le proprie responsabilità. L’amicizia ha la virtù
di metterci di fronte noi stessi. Di risvegliare la confidenza-conoscenza di
noi stessi.
Amore – Senza amicizia è
accensione fatua. Il legame affettivo – ma più spesso è promiscuo, plurale –
non è duraturo né acuto, anche nel senso del piacere, se non s’innesta in una
forma di amicizia.
Democrazia –
È necessaria ma non funziona. Non funziona in senso proprio,
“democraticamente”, in quanto rappresentanza e governo “migliore” – non
sperpera di più, in risorse ed energie, di qualsiasi altro governo, sia pure
totalitario, ma sì sperpera la funzione democratica: la partecipazione, il
voto, l’indirizzo di governo. Bloccata più spesso dalle stesse forze
democratiche: quindi per automutilazione.
Il nodo è la funzione di governo. Che può essere come Oscar
Wilde aforista la sintetizza, in “L’anima dell’uomo sotto il socialismo”: “Abbandonare l’umanità a se stessa è
possibile, governarla è impossibile”. Specificando, però, punto per punto:
“Tutti i modi di governo sono errori. Il dispotismo è ingiusto per tutti,
compreso il despota, che era probabilmente fato per un ruolo migliore. Le
oligarchie sono ingiuste per la maggioranza, e le oclocrazie sono ingiuste per
la minoranza. Si nutrivano un tempo elevate speranze nella democrazia; ma la
democrazia significa semplicemente il bastonamento del popolo da parte del
popolo per il popolo”- una forma corruttiva. È la posizione anarchica integrale
– “ogni autorità è avvilente: avvilisce quelli che la esercitano e quelli che
la subiscono”. Da una posizione non anarchica. La democrazia si vede funzionare
dove blocchi di potere si sono consolidati che hanno interesse a farla
funzionare: Gran Bretagna, Stati Uniti, e ora la Germania.
Eutanasia
– È una
novità nel senso che se ne vuole un obbligo di legge – nel senso della
dispossessione, o della normalizazione (“razionalizzazione” a basso voltaggio)
che la contemporaneità impone.
È la vecchia
pratica degli svedesi trogloditi, i nomadi dell’antico Egitto, i sardi, di
uccidere gli anziani a colpi di clava o pietra. Gli indiani del Brasile
uccidevano così gli infermi. I massageti e i derbicciani uccidevano gli
ultrasettantenni. E i càtari pii di Monforte d’Alba o Asti, che le endura abbreviavano alla fine, i suicidi
dei saggi anziani per digiuno, per evitare loro i patimenti dell’agonia. Gli
abitanti dell’isola di Choa, dove l’aria pura dà lunga vita, ci pensavano
invece da soli: prima dell’ebetudine o la malattia i vecchi prendevano la
papaverina o la cicuta. Analogamente l’eschimese che, prossimo alla fine,
inutile alla famiglia, esce dall’iglù e si perde nel pack. Fra i batak di Raffles, esploratore fededegno, che sarebbero
i dagroian di Marco Polo, i vecchi erano mangiati: “Un uomo che sia stanco di
vivere invita i figli a divorarlo nel momento in cui il sale e i limoni sono a
buon mercato”.
Morte –
Invece che il fatalismo, genera l’attivismo e la speranza. Dovrebbe condizionare
al fatalismo, indirizzare all’inerzia per l’ovvia evidenza, nascendo moriamo,
siamo condananti a morte, siamo condannati costituzionali, etc., che invece viene
ribaltata, ridotta a calembour.
Si può pensare la morte evitata (spuntata se è n’arma)
dalla vita di genus, dalla
riproduzione – nella storia (memoria). Ma la vita è istinto forse irriducibile.
Non il futuro e il passato lo condizionano, che sono sue creazioni.
Nazionalismo
– Si oppone a cosmopolitismo, come una forma di resistenza rispetto alla
spersonalizzazione. Ma è una forma di esotismo: la specialità del sé è più
spesso in aspetto di feticcio, totem e tabù insieme. Inattaccabile, inspiegato.
Povertà – È
innesco e materia dell’economia: come ottimizzare beni scarsi. In natura, alla produzione (industria), alla
distribuzione. Della logica quindi, della razionalità, della ricerca, della
scoperta.
È l’innesco del pensiero. Non si fa scienza
dell’abbondanza soddisfatta. A meno che essa non deperisca: oggi l’acqua,
l’aria. È la costrizione il motore. La scoperta (ricerca) solo
eccezionalmente viene dalla curiosità.
La quale si attizza essa stessa per i pungoli della scarsità – insofferenza,
limiti angusti. In un certo senso l’uomo è ciò che possiede – senza pregiudizio
per Nietzsche-Wilde: si determina per le mancanze – si sintonizza, si fa forza,
pensa, agisce. Ogni ipotesi dell’evoluzione umana si può solo pensarla
determinata dal bisogno.
Ragione – Estrarre il futuro, che si
sa non esiste, da una condanna costituzionale a morte: è su una doppia sfida
irrazionale che si fonda l’ars construens.
La ragione è una scommessa, contro tutte
le probabilità. È una forma, anche, di edonismo e eudemonismo.
Se la vita (riproduzione) è soprattutto
istinto, incondizionabile da ultimo dal futuro e dal passato - le coordinate
della sua logica, che ne sono una derivata -, la ragione è istintuale. Un fatto
nervoso?
Suicidio - “Verrà
la morte e avrà i tuoi occhi”, dice Pavese, il suicida per antonomasia. Gli
occhi di chi? La mancanza d’amore può uccidere, ma gli altri, non se stessi.
Amore e odio? “L’Amore viene dall’Odio” è “opera mediocrissima” già in
Stendhal. Raro è il suicidio per il bene di chi si ama, spiega bene Rensi,
l’egoismo viene prima. Per amore si può anzi decidere di voler vivere, costi
quello che costi. Se ci si uccide è per astio, o è una bestemmia contro Dio o
l’esistenza. Una vendetta contro se stessi, il suicidio è sempre odio di sé.
È tutto
nel cimitero a picco sul mare, nel “Dracula” del mediocre Stoker, dove la morte
si prende i vivi: George
Canon, che per l’epigrafe “morì con la speranza di una gloriosa resurrezione,
cadendo dalle rocce di Kettleness”, era invece un giovane storpio, odiato dalla
madre, che accelerò la sua fine prossima col fucile da caccia, perché lei non
potesse incassare l’assicurazione che aveva stipulato sulla sua vita.
Se non è un problema di sonno: l’ora più buia è quella che precede l’alba, si
dice in Spagna, quando bisognerebbe dormire.
Unità – È la condizione umana che
si privilegia, nell’individuo (psicologia, personalità) e nella società. Dal
“De Monarchia” di Dante fino al tardo Rinascimento, dice Frances Yates,
“Astraea”: l’unità della chiesa, dell’impero. Rinnovata dalla teoria dei monopoli:
efficienza, rapidità, flessibilità, economie di scala, economie di avviamento e
di mercato. Ma è un caso lampante di razionalità a basso voltaggio.
L’unità si privilegiava in una con la
diversità: dei riti, delle istituzioni (Comuni e principati, assemblee e
corti), delle lingue. Mentre si conosce la distruttività della pax romana delle origini, quella della
Roma virtuosa, repubblicana. In epoca moderna l’unità fu imposta dai re cattolici
in Spagna e da Luigi XIV in Francia recidendo ogni tradizione e ogni diversità.
Cioè i tesori nazionali, per il solo fine della forza unica. In un’unità di
facciata che era magari ripetizione dell’antico, ma uniforme e senza vita. Con
la pretesa all’immutabile. Quando il proprio della storia - della vita,
dell’uomo – è la mobilità, il cambiamento.
zeulig@antiit.eu
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