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martedì 8 ottobre 2013

Secondi pensieri - 152

zeulig

Amicizia – È il rivelatore di sé stessi: si è se stessi nel confronto con persona-e vicina-e. Si è per il resto dispersivi: la vita di relazione – e ogni vita è di relazioni – è dispersiva, anche quando si vuole formativa, a scuola, sul lavoro, nelle attività sociali, politiche, umanitarie. Si finisce per trascurare se stessi, anche qualora se ne abbia grande o grandissima opinione, nel senso che si alleviano, si trascurano o si obliterano le proprie responsabilità. L’amicizia ha la virtù di metterci di fronte noi stessi. Di risvegliare la confidenza-conoscenza di noi stessi.  

Amore – Senza amicizia è accensione fatua. Il legame affettivo – ma più spesso è promiscuo, plurale – non è duraturo né acuto, anche nel senso del piacere, se non s’innesta in una forma di amicizia. 

Democrazia – È necessaria ma non funziona. Non funziona in senso proprio, “democraticamente”, in quanto rappresentanza e governo “migliore” – non sperpera di più, in risorse ed energie, di qualsiasi altro governo, sia pure totalitario, ma sì sperpera la funzione democratica: la partecipazione, il voto, l’indirizzo di governo. Bloccata più spesso dalle stesse forze democratiche: quindi per automutilazione.
Il nodo è la funzione di governo. Che può essere come Oscar Wilde aforista la sintetizza, in “L’anima dell’uomo sotto il socialismo”:  “Abbandonare l’umanità a se stessa è possibile, governarla è impossibile”. Specificando, però, punto per punto: “Tutti i modi di governo sono errori. Il dispotismo è ingiusto per tutti, compreso il despota, che era probabilmente fato per un ruolo migliore. Le oligarchie sono ingiuste per la maggioranza, e le oclocrazie sono ingiuste per la minoranza. Si nutrivano un tempo elevate speranze nella democrazia; ma la democrazia significa semplicemente il bastonamento del popolo da parte del popolo per il popolo”- una forma corruttiva. È la posizione anarchica integrale – “ogni autorità è avvilente: avvilisce quelli che la esercitano e quelli che la subiscono”. Da una posizione non anarchica. La democrazia si vede funzionare dove blocchi di potere si sono consolidati che hanno interesse a farla funzionare: Gran Bretagna, Stati Uniti, e ora la Germania.

Eutanasia – È una novità nel senso che se ne vuole un obbligo di legge – nel senso della dispossessione, o della normalizazione (“razionalizzazione” a basso voltaggio) che la contemporaneità impone.
È la vecchia pratica degli svedesi trogloditi, i nomadi dell’antico Egitto, i sardi, di uccidere gli anziani a colpi di clava o pietra. Gli indiani del Brasile uccidevano così gli infermi. I massageti e i derbicciani uccidevano gli ultrasettantenni. E i càtari pii di Monforte d’Alba o Asti, che le endura abbreviavano alla fine, i suicidi dei saggi anziani per digiuno, per evitare loro i patimenti dell’agonia. Gli abitanti dell’isola di Choa, dove l’aria pura dà lunga vita, ci pensavano invece da soli: prima dell’ebetudine o la malattia i vecchi prendevano la papaverina o la cicuta. Analogamente l’eschimese che, prossimo alla fine, inutile alla famiglia, esce dall’iglù e si perde nel pack. Fra i batak di Raffles, esploratore fededegno, che sarebbero i dagroian di Marco Polo, i vecchi erano mangiati: “Un uomo che sia stanco di vivere invita i figli a divorarlo nel momento in cui il sale e i limoni sono a buon mercato”.

Morte – Invece che il fatalismo, genera l’attivismo e la speranza. Dovrebbe condizionare al fatalismo, indirizzare all’inerzia per l’ovvia evidenza, nascendo moriamo, siamo condananti a morte, siamo condannati costituzionali, etc., che invece viene ribaltata, ridotta a calembour.
Si può pensare la morte evitata (spuntata se è n’arma) dalla vita di genus, dalla riproduzione – nella storia (memoria). Ma la vita è istinto forse irriducibile. Non il futuro e il passato lo condizionano, che sono sue creazioni.   

Nazionalismo – Si oppone a cosmopolitismo, come una forma di resistenza rispetto alla spersonalizzazione. Ma è una forma di esotismo: la specialità del sé è più spesso in aspetto di feticcio, totem e tabù insieme. Inattaccabile, inspiegato.

Povertà – È innesco e materia dell’economia: come ottimizzare beni scarsi. In  natura, alla produzione (industria), alla distribuzione. Della logica quindi, della razionalità, della ricerca, della scoperta.
È l’innesco del pensiero. Non si fa scienza dell’abbondanza soddisfatta. A meno che essa non deperisca: oggi l’acqua, l’aria. È la costrizione il motore. La scoperta (ricerca) solo eccezionalmente  viene dalla curiosità. La quale si attizza essa stessa per i pungoli della scarsità – insofferenza, limiti angusti. In un certo senso l’uomo è ciò che possiede – senza pregiudizio per Nietzsche-Wilde: si determina per le mancanze – si sintonizza, si fa forza, pensa, agisce. Ogni ipotesi dell’evoluzione umana si può solo pensarla determinata dal bisogno.

Ragione – Estrarre il futuro, che si sa non esiste, da una condanna costituzionale a morte: è su una doppia sfida irrazionale che si fonda l’ars construens. La ragione è una scommessa, contro  tutte le probabilità. È una forma, anche, di edonismo e eudemonismo.
Se la vita (riproduzione) è soprattutto istinto, incondizionabile da ultimo dal futuro e dal passato - le coordinate della sua logica, che ne sono una derivata -, la ragione è istintuale. Un fatto nervoso?

Suicidio - “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, dice Pavese, il suicida per antonomasia. Gli occhi di chi? La mancanza d’amore può uccidere, ma gli altri, non se stessi. Amore e odio? “L’Amore viene dall’Odio” è “opera mediocrissima” già in Stendhal. Raro è il suicidio per il bene di chi si ama, spiega bene Rensi, l’egoismo viene prima. Per amore si può anzi decidere di voler vivere, costi quello che costi. Se ci si uccide è per astio, o è una bestemmia contro Dio o l’esistenza. Una vendetta contro se stessi, il suicidio è sempre odio di sé.
È tutto nel cimitero a picco sul mare, nel “Dracula” del mediocre Stoker, dove la morte si prende i vivi: George Canon, che per l’epigrafe “morì con la speranza di una gloriosa resurrezione, cadendo dalle rocce di Kettleness”, era invece un giovane storpio, odiato dalla madre, che accelerò la sua fine prossima col fucile da caccia, perché lei non potesse incassare l’assicurazione che aveva stipulato sulla sua vita. Se non è un problema di sonno: l’ora più buia è quella che precede l’alba, si dice in Spagna, quando bisognerebbe dormire.

Unità – È la condizione umana che si privilegia, nell’individuo (psicologia, personalità) e nella società. Dal “De Monarchia” di Dante fino al tardo Rinascimento, dice Frances Yates, “Astraea”: l’unità della chiesa, dell’impero. Rinnovata dalla teoria dei monopoli: efficienza, rapidità, flessibilità, economie di scala, economie di avviamento e di mercato. Ma è un caso lampante di razionalità a basso voltaggio.
L’unità si privilegiava in una con la diversità: dei riti, delle istituzioni (Comuni e principati, assemblee e corti), delle lingue. Mentre si conosce la distruttività della pax romana delle origini, quella della Roma virtuosa, repubblicana. In epoca moderna l’unità fu imposta dai re cattolici in Spagna e da Luigi XIV in Francia recidendo ogni tradizione e ogni diversità. Cioè i tesori nazionali, per il solo fine della forza unica. In un’unità di facciata che era magari ripetizione dell’antico, ma uniforme e senza vita. Con la pretesa all’immutabile. Quando il proprio della storia - della vita, dell’uomo – è la mobilità, il cambiamento. 

zeulig@antiit.eu

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