Dieci anni fa un processo tenne banco sulle cessione di Omnitel-Orange-Mannesmann
a Vodafone, di cui allora si rappresentavano così i termini:
“Lo svizzero Josef Ackermann, presidente della
Deutsche Bank ed ex consigliere d’amministrazione Mannesmann, ha sempre
pendente una condanna a dieci anni per il sospetto di corruzione nella cessione
della stessa Mannesmann a Vodafone. L’incriminazione era avvenuta formalmente
in quanto Ackermann, consigliere d’amministarzione di Mannesmann, aveva
autorizzato gratifiche ritenute eccessive, di 57 milioni di euro, ai dirigenti
Mannesmann (di cui 30 all’amministratore delegato Klaus Esser) e al presidente
dell’Ig-Metall, Klaus Zwickel, il sindacato dei metalmeccanici. Ma il processo
è stato impiantato col sospetto che lo stesso Ackermann fosse parte o artefice
di una combine.
Il cda di Mannesmann, Esser compreso,
aveva respinto in un primo momento l’opa Vodafone dichiarandola “ostile”, cioè
non nell’interesse dell’azienda e dei suoi azionisti. Il titolo era andato alle
stelle, e c’erano stati dei guadagni per molti. Poi Esser ci aveva ripensato,
anche per l’intervento di Ackermann, e aveva dichiarato l’offerta compatibile. L’accusa,
su cui il processo è stato tenuto a Düsseldorf, ritiene che l’opposizione sia
caduta in cambio di tangenti. Forse – è l’accusa subordinata – nella forma
della gratifica.
L’accusa non è riuscita a dimostrare la
corruzione, e quindi Ackermann va all’assoluzione. Ma la stessa Corte che
dovrebbe assolverlo ha mostrato durante il dibattimento di ritenere l’accusa
vera anche se non provata. E sull’onda del processo in Germania il governo
federale ha dovuto approvare misure d’urgenza contro la corruzione in affari. In
previsione dell’appello la difesa avrebbe consigliato all’ex affarista
Ackermann un patteggiamento: una multa in cambio della non iscrizione”. Così avverrà tre anni dopo: il 25 novembre 2006 Ackerman patteggerà 3,2 milioni e la presunzione di non colpevolezza.
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