Weimar fu avversata dai protestanti più
che dai cattolici - già spogliati dal Kulturkampf di Bismarck. Anche Hitler,
con l’antisemitismo, la guerra e lo
sterminio, di cui una larga pubblicistica vuole fare colpa al papa e ai vescovi
cattolici, ebbe in campo religioso piuttosto il supporto evangelico. Sul
fondamento di Lutero, che degli ebrei predicava l’Ausrottung, lo sradicamento. Sono evangelici i Deutsche Kristen,
che volevano, e vogliono, una chiesa “ariana” – tutte camicie brune il 5
settembre 1933 al sinodo nazionale luterano, almeno quattro su cinque, grandi
manifestazioni nello steso anno a Berlino di cristiano-tedeschi all’insegna
delle croci uncinate, e perfino il rifiuto della Bibbia, con l’adattamento dei
Vangeli alla “mistica nazionalsocialista”.
Dietrich Bonhöffer fece
imponente eccezione, anche per la statura fisica, aristocratico anche di
sangue, la resistenza al nazismo fu soprattutto aristocratica, finendo alla
forca pochi giorni prima della fine della guerra. Esponente insigne della
chiesa Confessante luterana, che professò contro il nazismo, se non proprio
contro l’antisemitismo – Karl Barth, insigne teologo e maestro di Bonhöffer, fu
perfino nastizzeggiante per via dell’antisemitismo (“La chiesa Confessante
sotto il nazismo” è stato quasi cinquant’anni fa un ottimo studio di Sergio
Bologna). Il pastore Bonhöffer fu uno dei due suoi martiri, e per questo è
forse l’oppositore che la Germania più celebra. Di una resistenza che fu
peraltro vasta – la più vasta al confronto coi movimenti di opposizione ai
totalitarismi europei – ma non fa testo in Germania, né nella politica né nella
storia. L’altro
suo martire è Franz Kaufmann, di origini ebraiche. Affinati ne percorre qui
affascinato i luoghi, compreso il viaggio a Roma, e i libri.
La giusta misura è tra resistenza e
resa, scrisse Bonhöffer prima dell’esecuzione. È la divisa del prete, forse non
sbagliata: la chiesa deve resistere sempre, perché sempre la perseguitano –
Cristo si fece crocifiggere. Senza faziosità anche negli scritti religiosi, né
partito preso: era uno che sarebbe andato a Roma al concilio ecumenico (anche buoni
cattolici, come Hans Küng, negano al papa l’infallibilità).
Un particolare che Affinati trascura
merita di essere ricordato. Fey von Hassell, figlia dell’ambasciatore di Hitler
a Roma, poi impiccato come cospiratore del 1944, e giovane fiduciaria della
Gioventù Hitleriana in Italia, sposata Pirzio-Biroli a Brazzà, lo ricorda nel
suo “Diario”. Il diario di una carovana di mogli e figlie dei cospiratori del
‘44, vittime del Sippenhaft, il
peccato familiare, e di reprobi: primi ministri, generali, banchieri,
principi reali, lo specialista di Stendhal Léon Blum, vescovi e teologi,
Bonhöffer incluso e Martin Niemöller. Una carovana che in treno,
prevalentemente, e a piedi fu fatta vagare per sette mesi su e giù per il
Reich.
Niemöller, per fare la differenza, fu
sempre antisemita, gli ebrei volendo con Lutero tutti convertiti. Volontario nel 1914, aveva
lasciato la Marina nel ’18, già comandante, a venticinque anni, piuttosto che
consegnare il suo sottomarino agli inglesi, s’era fatto uomo di chiesa, le sue
prediche a Dahlem volendo stenografate, fu hitleriano e poi antihitleriano,
volontario respinto nel ’39, dopo aver fatto alcuni anni di lager, e dopo la guerra nemico di
Adenauer, la Nato, il mercato, l’antisovietismo, ma stando all’Ovest.
Eraldo Affinati, Un teologo contro Hitler Oscar, pp.168 ill., € 9
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