Paolo Flores d’Arcais presenta la monografia
con l’insegna del disimpegno, “Per fare il bene il proprio lavoro”. Per farlo
ricorre anche alla categoria della “cultura alta” – segno che la rivista s’era impantanata
nella cultura bassa, volgare, corriva? fuori nessuno l’aveva messo finora in
dubbio. I Beatles non sono Brecht, dice anche, e questo non è vero. Anche
perché i Beatles per primi non si sono sognati di essere Brecht – per fortuna,
loro, nostra, della verità.
Paolo Flores d’Arcais si pone anche il
problema: “Impegnarsi per che cosa?” Sì, si rischia sempre. Per Solidarnosc’ si
finisce in Wałesa. Per l’ambiente si finisce nel business verde, stella polare oggi della corruzione (milioni a
perdere, miliardi). Per l’onestà, forse? Settis non ci gira attorno: l’impegno trova
semplice, partendo dall’“etica del bene comune”, ma non trova altro appiglio a
questa etica dopo Burke, “Riflessioni sulla rivoluzione in Francia”, 1790 - cioè
contro, Burke era controrivoluzionario.
Che altro? Ermanno Rea fa la storia di “Tempo
Illustrato”, la rivista fortunata di Arturo Tofanelli quando fu affidata a
Nicola Cattedra, negli anni della contestazione. La rivista chiuse forse perché
i rotocalchi erano in crisi, ma Rea ha un’altra ragione, seguiamolo. Rea dice
che fallì perché Cattedra la spostò a sinistra, mettendo in vetrina Pasolini,
il Pasolini degli “Scritti corsari”, malapartiani. I lettori moderati del settimanale
lo abbandonarono. Cattedra allora sostituì Pasolini con Bocca, uno di sinistra
che andava bene ai moderati, ma non ci fu “niente da fare: «Tempo Illustrato»
fallì, e fu forse una delle prime vittime di quell’oscurantismo neoliberista in
versione tricolore”. Proprio così.
L’onorevole,
Nobel nazionale
Adriano Prosperi ritorna sull’intellettuale
nel fascismo, quando Mussolini pretese il giuramento di fedeltà. “Solo undici
professori di ruolo si rifiutarono di farlo. Solo un libero docente (Leone Ginzburg) voltò
senza remore le spalle alla carriera universitaria”. Noi ne conosciamo almeno
un altro, Francescantonio Leuzzi. Ma poi chissà quanti altri rinunciarono.
Bisognerebbe fare un po’ di storia – richiedere all’intellettuale storico di
fare (anche) storia? o farla senza paraocchi, politici, etnici, e nemmeno geografici.
Un tema vetusto svolto di maniera: il
solito esercizio pre, post e paragramsciano che avrebbe scoraggiato Gramsci –
che non era uno che si scoraggiava. Una ritualità pre, post e parasovietica, quando nessuno
ci obbliga. L’intellettuale, in pratica, riducendo a chi scrive sui giornali –
ora va anche ai talk show, ma quello
è un’altra cosa, è un attore. Senza mai toccare i dati di fatto. Gli
intellettuali in Parlamento per esempio, giornalisti, storici, filosofi (e
giudici, legisti, medici) utili solo a prospettare l’ombra di un partito sulle
rispettive categorie e gli ambiti professionali con la prospettiva di una
carriera da onorevole, senza altro rilievo né politico né parlamentate – chi ha
sentito parlare degli onorevoli Gotor o Marzano? Nemmeno più indipendenti di
sinistra, o di destra: vetrine per allocchi, e per controllare gli ambienti di
riferimento, l’università, le professioni, la giustizia, il giornalismo, con la
promessa di onori e prebende, piccoli Nobel nazionali. Lo Stato comatoso
dell’università, carriere ordinamenti, gestione, formazione, il dominio
intellettuale per eccellenza? Gli abusi del giornalismo, contro ogni
deontologia – l’opinione pubblica è pur sempre un fenomeno rispettabile, benché
screditato? La qualità della ricerca, della ricerca umanistica: storia, filologia,
letteratura?
Povero
Camus
C’è una notevolissima appendice Camus.
Un’interessante conversazione di Andrea Bianchi e Anna Sansa con la figlia
Catherine, e una corposa serie di testi di Camus (scritti, appunti, lettere,
conferenze, prefazioni) di varie epoche, collazionata e esaustivamente annotata
da Andrea Bianchi, una sorta di prima mondiale. Di uno cioè che fu vittima di
una delle peggiori infamie del partito Comunista in Francia, ma non la sola. E
lo fu per avere contestato l’asservimento dell’intellettuale all’ideologia, se
non a un partito. Un’appendice che non allevia ma appesantisce il senso di stantio
di questa monografia – la persecuzione di Camus fu a opera di Sartre e Garaudy,
comunistissimi anticomunisti, e dunque opportunisti? questo sarebbe stato un
tema.
Odifreddi (si) definisce “il grande «matematico
impertinente». Matematico? Grande? Non è un papalino?
“Micromega”, L’intellettuale e l’impegno, n. 6\ 2013, pp. 226 € 15
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