Giuseppe Leuzzi
Bellezza e povertà
L’autunno
sull’Aspromonte è quest’anno specialmente fiammeggiante. Le piogge di san Martino
hanno infine ripulito i boschi della polvere
estiva. Grandi foreste di faggi rossi suonano l’hallalì a elfi e ninfe attorno a Gambarie. Il giallo è carico,
limoncello maturo, degli aceri giù verso Basilicò, che un tempo proteggevano contro
le streghe, i pipistrelli, e la sfortuna, sotto l’argento sfavillante dei pioppi.
Ma nessuno lo sa, se ne accorge, se ne bea. Qualcuno sale fin qui per una mangiata
di caldarroste nei ristoranti. O va a funghi all’alba, una questua
professionale, senza mai alzare gli occhi. Senza nemmeno respirare, forse:
l’aria è profumata.
Un
assaggiatore d’aria come ce ne sono dei vini potrebbe stenderne un campionario mirabolante:
immaginifico, come si vuole l’assaggio, ma di sostanza. Solo le acque si gustano,
ne abbiamo il culto. Di ognuna vantiamo anche le proprietà organolettiche di cui
niente sappiano – parliamo la terminologia astrusa delle etichette di acqua
minerale.
Non
abbiamo niente di nostro, non ce ne curiamo, in un certo senso siamo socialisti.
Non francescani, quelli la natura almeno se la godono tutta. Il tipo anarcoide,
il solito: quello che non sa quello che fa.
Calabria
All’opera è famosa per un delitto di
gelosia. Ruggero Leoncavallo vi ambienta “I pagliacci”, dove la moglie
fedifraga e l’amante vengono uccisi in scena. Un fatto di sangue che
Leoncavallo visse da ragazzo, nello stesso Montalto Uffugo dove il padre era
pretore.
La mafia è recente.
Si può spiantare un pescheto per piantarvi
i pannelli solari? A Altomonte sì. Borgo peraltro civilissimo. Si lavora con lo
Stato.
Anche il pescheto: era stato pianto con i
fondi Ue, per illuminazione di Costantino Belluscio, il politico, segretario di
Saragat,
Ci sono dop dell’olio di oliva in tutta
Italia, compresi luoghi dove gli olivi sono decorativi, il Garda, la Romagna. Non
c’è invece per la Piana di Gioia Tauro, la più grande foresta di al mondo di
ulivi giganti. Ma qui non è colpa dello Stato, che anzi la dop avrebbe
volentieri riconosciuta.
La rivolta per “Reggio capitale” nel 1971
fu niente a confronto con quella per “Torino capitale”, il 21-22 settembre
1864, dopo la designazione di Firenze a capitale del regno il 15 settembre. La
rivolta non c’è nelle storie, ma fece 52 morti, tra dimostranti, anche
passanti, e carabinieri: si sparava senza controllo. Più 187 feriti.
Massimo Alvaro ha tra i ricordi del padre
Corrado, in una intervista con Mario Procopio del 1977, “un via vai di calabresi
in casa nostra”, la sola gente con cui il padre si sentiva a suo agio, “povera
gente il più delle volte che aveva dei problemi da risolvere”.Di una donna in età
il padre gli raccontò che era venuta a chiedere “se davvero stesse per
scoppiare la guerra in Abissina”. Lo scrittore aveva risposto di sì, e la donne
aveva commentato: “Peccato che il figlio mio è morto, sennò poteva andare anche
lui a guadagnarsi qualcosa”.
Miracolo a Milano
Vacche che fanno latte per 82 anni. È
l’ultimo miracolo di Milano. Anche di Torino: sono la Lombardia e il Piemonte
le regioni più prolifiche di latte inesistente, per il quale l’Italia ha pagato
e paga multe per 4 miliardi, di cui la metà a carico del Tesoro. Sono
noccioline, al confronto, gli abusi sull’olio di oliva e sugli agrumi. Che l’Italia comunque non paga, li
pagano i colpevoli.
Per una volta almeno, è il Sud che finanzia
il Nord, la corruzione al Nord, il malaffare. La cosa infine si sa perché qualche
processo infine si fa, dopo dodici anni, e qualche verità viene fuori. Il
trucco è semplice: che una mucca possa dare latte per 8,2 anni, tra i 22-24
mesi e i dieci anni, diventa per 82 anni: che ci vuole, una virgola, in meno.
Il “Corriere della sera” dice che “la
vicenda delle quote latte si trascina dal 1984 con decine di processi in tutta
Italia!”. Lo dice col punto esclamativo ma non è vero: la vicenda si trascina
da trent’anni, ma con pochi processi e tutti in Nord Italia. Perché lì si è
consumato il delitto. A Cuneo in particolare, e in Lombardia.
Il miracolo è doppiamente nordico, poiché
la legislazione europea sulle quote latte, del tutto aberrante, è stata
introdotta per proteggere il latte tedesco di bassa qualità da ogni concorrenza.
Per sostenere i prezzi si decise di limitare la produzione, invece di prevedere
dei conguagli (“integrazioni di prezzo”) come per altre produzioni. Fu per
questo deciso nel 1984 di bloccare la produzione di latte secondo le quote
nazionali dei mercati nel 1983. Il ministro dell’Agricoltura dell’epoca, Vito
Pandolfi, diede per l’Italia una cifra sottostimata (per errore, sosterrà poi,
dell’Istat), e l’Italia rimase ancorata a una quota di produzione largamente
inferiore ai suoi consumi. Ma perché il latte dev’essere bavarese?
I favori
Con
i favori non si costruisce niente. Non una carriera politica, in politica anzi
ci si espone, a ritorsioni e vendette – malumori, invidie, calunnie,
pettegolezzi. Se uno mi chiede di sveltire (risolvere) una pratica, e la cosa
va a buon fine, perché conosco le procedure giuste, invece che riconoscenza nove
volte su dieci susciterò indignazione, sospetti di intrigo politico, complicità,
favoritismi, e anche accuse.
Il
beneficato non è riconoscente, e anzi, se il favore è “consumato”, se il
beneficato non ha più bisogno per altre pratiche o favori, tenderà a smarcarsi.
Criticando, anche a costo d’inventarsi torti e capi d’accusa, per ricostituirsi
una verginità. È l’equivoco maggiore della politica al Sud, dove più si
esercita come potere personale, dei favori personali al servizio del potere
personale.
Al
tempo dei notabili, della borghesia liberale (cioè delle professioni), il
rapporto di dipendenza funzionava se continuamente rinnovato. Il notabile non
era un concorrente, e quasi sempre non aveva concorrenti, ognuno aveva un suo orto.
La politica invece consiste proprio nell’apertura degli steccati e nella
gemmazione continua di nuovi poteri – l’aggiornamento, il rinnovamento.
Questo
della funzione politica, della rappresentanza produttiva, costruttiva, è il
problema del Sud: essere arrivato tardi al parlamentarismo, dopo millenni di
signoraggio e vita chiusa nei paesi. Senza le esperienze pregresse delle altre
parti d’Italia con forme di autogoverno, nelle repubbliche e i principati. La
democrazia non funziona in automatico, al contrario: il voto non implica la
capacità di governarsi, e al Sud ne sanziona anzi l’incapacità, pervicace. E
non tanto di diffidenza verso lo Stato quanto dell’impossibilità di concepirlo.
Se non, appunto, nella dialettica improduttiva della mediazione senza beneficio.
Senza beneficio politico, di crescita della fiducia. Reciproca e quindi nei
propri mezzi.
Il
Sud resta abbarbicato su quella che si chiama attitudine difensiva. Che però, dopo
quattro o cinque generazioni di affrancamento, è da considerarsi un rifiuto. Si
dice che il Sud è tradito dalla sua classe politica. Ma la sua classe politica
lo esprime. A volte, nei paesi, s’incontrano sindaci del tutto inadeguati. Ma
girandosi attorno è facile scoprire che non c’è nessuno di meglio.
leuzzi@antiit.eu
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