Il cosiddetto esecutivo di Bruxelles è un tribunale
e non un governo. Un governo governa per il bene di tutti, un tribunale spartisce
il diritto dal torto. È quello che i commissari di Bruxelles fanno ogni giorno.
E ciò è la causa prima delle difficoltà persistenti delle economie che hanno
avuto un problema: questi “giudizi”, in un mercato aperto, tendono a deprimere
e non a risanare. Analizzando l’andamento dello spread italiano giorno per giorno si vede che esso è determinato,
nelle oscillazioni negative, da annunci (condanne) di Bruxelles – quando non di
questo o quell’esponente tedesco, Schäuble, Weidmann sopra tutti (da quando il
governo tedesco è in crisi politica, non ci sono più le loro dichiarazioni
settimanali, e lo spread naviga al ribasso).
La retorica europeistica riesce a
camuffarlo, per quanto stereotipa. Ma il fatto è evidente per qualsiasi
operatore. In un mercato aperto ogni presa di posizione di Bruxelles equivale a
un giudizio. La Commissione non opera con i criteri di una funzione pubblica
europea, in cui si fanno proposte, si discutono, si adattano, e si annuncia un provvedimento
conclusivo. Che non si condanna. La Commissione
si muove come una Procura della Repubblica: formula ipotesi di reato e cerca
perfino di provarle.
Gli stessi commissari sono e si propongono
come giudici, supposti super partes (“tecnici”),
e non come uomini politici e di governo.
Non operano per il bene comune di tutti ma secondo procedure – leggi.
Evidente è poi che i commissari rispondono
a certe logiche e non altre. Da alcuni anni rigorosamente a quelle di Berlino. La tattica del risanamento inattuabile gestisce Olli Rehn, uno che non si
sa se più incapace o più tedescofilo. Mentre la concorrenza è gestita da uno
spagnolo, Almunia, sopranominato il tedesco di complemento – uno che ha sempre
da ridire sulle banche italiane, che se la cavano tutto sommato bene, e nulla
sulla Germania, dove il governo Merkel di centro-destra ha finanziato le sue
banche, secondo un calcolo dei socialisti tedeschi, con 290 miliardi.
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