Sono le illusioni del “creatore”
– l’autore, lo scrittore, il prestigiatore, di piazza e di governo. Che Torno affronta
antifrastico, in grazia di un titolo trovato nel robivecchi librario di Charing
Cross Road a Londra, “Biografie degli autori morti di fame”. Con leggerezza, ma
partendo da un assunto senza scampo: “L’esistenza è la nostra personale fabbrica
di illusioni”. Che è mezzo Heidegger, e tutto Leopardi. Seppure senza pretese:
con gli anni “si ha sempre più bisogno di aumentare le dosi di verità a
disposizione di questo mondo e di illudersi con maggiore coscienza”.
Cos’è l’illusione? Un’“altra”
verità, ancora una. È un “filtro incantato”. Che ci riporta alla magia della
realtà – a Campanella si potrebbe aggiungere, Della Porta, Bruno: quasi uno
sberleffo in questa epoca di ritorno al “realismo”. Torno ne tratta, in breve
ma lasciando il segno, in connessione all’amore, naturalmente, e alle altre
passioni (è un sinonimo): cultura, politica, società, solitudine, religione, progresso,
internet. Nonché la filosofia, la navigazione classica tra errore e verità.
Tema leopardiano per eccellenza,
quello attorno a cui si sgomitola la traccia filosofica dello “Zibaldone”: le
illusioni come creazioni fantastiche. Anche come trucchi, ma più come
corroboranti. Torno, già fine cesellatore della “Domenica”, il supplemento del “Sole
24 Ore”, lo svolge voluttuosamente – razionalmente – reazionario. Si prenda la
cultura: “Forse viviamo in un’epoca bigotta e ci siamo lentamente convinti che
la conoscenza rechi bontà e felicità”. Schopenhauer avrebbe avuto di che
invidiare, quello dei massimari, “L’arte di avere ragione”, “L’arte d’invecchiare”,
e ogni altra “arte”, e quello del pessimismo: “Illusioni e bugie non
rappresentano sempre l’aspetto negativo dei rapporti civili. Rappresentano,
come dire?, l’ingrediente indispensabile per regolare i rapporti umani”. E
subito dopo: “La storia non è forse la più grande illusione che l’uomo abbia
saputo creare?” Ma sempre sottile. Si prenda l’amore: “Sono convinto che l’amore
da cui trae origine la vita sia la più grande fabbrica di illusioni. Le altre
scimmiottano questa produzione”. Quanto al “celebre sentimento”: “Se la nostra
riproduzione fosse affidata alla pura ragione, quasi sicuramente la specie
umana sarebbe sparita al sorgere delle prime civiltà”.
Resta indistruttibile in
materia il sostrato, che Leopardi ha scolpito nello “Zibaldone”(3237-3238): “Chiunque
esamina la natura delle cose con la pura ragione, senz’aiutarsi né dell’immaginazione
né del sentimento, … potrà ben quello che suona il vocabolo analizzare, cioè risolvere e disfar la
natura, ma e’ non potrà mai ricomporla, voglio dire e’ non potrà mai dalle sue osservazioni
e dalla sua analisi tirare una grande e generale conseguenza”. Questo dal punto
di vista gnoseologico, del modo di conoscere. Poi c’è la felicità, che il poeta
infelice aveva individuato all’inizio (51) del diario: “Il più solido piacere
di questa vita è il piacer vano delle illusioni”. E nello stesso passo la
metafisica: “Io considero le illusioni come cosa in certo modo reale stante ch’elle
sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana”. Avendo già prima
(21) risposto al quesito di Longino, ”Del sublime”, perché le anime grandi diventino
sempre più rare, con “la barbarie che vien dopo l’eccesso d’incivilimento”: “Non
c’è dubbio che i progressi della ragione e lo spegnimento delle illusioni
producono la barbarie, e un popolo oltremodo illuminato mica diventa
civilissimo… Le illusioni sono in natura, inerenti al sistema del mondo, tolte
via affatto o quasi affatto, l’uomo è snaturato; ogni popolo snaturato è
barbaro”.
Armando Torno,
Elogio delle illusioni, Bompiani, pp. 127 € 10
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