Alessandra Sarlo è, era, uno dei dirigenti
più preparati della Provincia di Reggio Calabria. Capace, per consenso
generale, e vogliosa di lavorare. Benché ereditiera e redditiera di vasto censo
– palazzo Sarli è al centro di Reggio Calabria. Accantonata per la direzione
generale dalla giunta di centro-sinistra, aveva vinto il ricorso
amministrativo. Risultato: aveva avuto il titolo, ma non la funzione. Indecisa
se protestare per l’evidente caso di mobbing,
cercò un “lavoro” alla Regione, governata dal entro-destra. Gli furono offerti
incarichi di rappresentanza, che rifiutò. Finché il presidente della Regione,
Scopelliti, non la nominò commissario alla Asl di Vibo Valentia.
È partita allora la “caccia alla donna”, e
ora Alessandra Sarlo è imputata di “corruzione per atti contrari ai doveri
d’ufficio”. L’ha scoperta la giudice di Milano Boccassini, indagando sul marito
della dirigente, il giudice di Palmi Vincenzo Giglio. Giglio è stato condannato
a Milano in primo grado per contiguità con la ‘ndrangheta di Reggio. La moglie
è colpevole, per il gup di Reggio Calabria, Domenico Commodaro, perché il marito
mandò al consigliere regionale Franco Morelli, poi suo coimputato al processo
per ‘ndrangheta, questo sms: “Ti confesso un piccolo segreto: mia moglie fa
parte della piccola cerchia di persone a cui piace lavorare molto. Perciò,
quale che sia la destinazione, per favore, che sia un posto fortemente
operativo e non di mera rappresentanza”.
Alessandra Sarli è dunque colpevole di
marito – ma più che del marito, Vincenzo Giglio, dei cugini di lui, il medico e
l’avvocato Giglio.
Ma, se non dovesse andare bene questo
processo, un altro la attende. Due mesi dopo l’arrivo di Alessandra Sarli, la
Asl di Vibo Valentia venne commissariata dal ministero dell’Interno per
infiltrazioni mafiose, anteriori al primo commissariamento. Sarli fu messa
allora a capo, previo concorso, della direzione regionale Controlli. Per questo
sarà – eventualmente – giudicata insieme con Scopelliti e col direttore del
Personale. Voler lavorare, in Calabria, è un delitto: i giudici se ne adontano.
L’ammazza-giudici
Il marito Giglio è peraltro condannato per
niente. Per essere stato amico da sempre di Morelli. Si dice che abbia rivelato
a Morelli notizie riservate sulle inchieste, ma non è così. Questo ha lasciato
intendere la Pm Boccassini e questo il Tribunale di Milano ha recepito: nessun giudice
darebbe torto alla Pm Boccassini, che ha fama di ammazza-giudici.
Nelle intercettazioni cui era sottoposto
Giglio non dà notizie di indagini riservate, né su Morelli né sui mafiosi che
gli avrebbero procurato i voti, né su nessun altro. E una richiesta del
Giglio-imputato di produrre in Tribunale, che solo può ordinarlo, il registro
segreto degli accessi alle inchieste riservate è stato rigettato. Non
bisogna sapere chi può aver dato ai mafiosi le informazioni riservate?
La fama di ammazza-giudici è legata alla
fine prematura dei giudici romani Squillante e Misiani, che Boccassini fece
indagare per mesi da investigatori mandati da Milano al bar del palazzo di
Giustizia quando prendevano il caffè. Un terzo giudice Boccassini avrebbe
voluto coinvolgere con Squillante e Misiani, Augusta Iannini. Squillante e
Misiani, uomini di sinistra, ne fecero una malattia e morirono, Augusta Iannini,
moglie di Bruno Vespa, contrastò Boccassini ad armi pari – poi le prove “si ruppero”:
le registrazioni erano state riversare su un cd che, caso unico nella storia,
si ruppe.
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