“L’ottica
tutta vassallatica” del linguaggio di Francesco è dura da ingoiare ma nella
preparazione del “santo” è indubbia: il Poverello di Assisi a lungo resta
imbevuto di romanzi cavallereschi,di nobili cavalieri e principesse. Fino alla
prova del fuoco, cui sfida il sultano d’Egitto Mālik Kāmil. Cavaliere è colui
che si annulla nell’impresa, a maggior gloria di Madonna Povertà, del Re dei
Cieli. Fino a rifare la Passione con le stimmate, Crocifisso deposto. Sempre
devoto al suo re, che lo ama e lo protegge – Francesco ne ebbe tre, tre papi
benevoli malgrado il suo radicalismo.
È sulla scorta
dei romanzi che Francesco si avvia verso la Puglia, a combattere per Gualtieri
di Brienne, avviando l’avventura francescana. Parte anche per allontanarsi
dalla vita familiare di negoziante di stoffe, e di piccola usura. A Spoleto,
alla prima tappa del viaggio, si scopre già stanco, torna indietro, e riprende
la solita vita, di scherzi e banchetti. Ma il rovello s’è già installato, che
ne muterà i sogni di grandezza. Tutti sognano, del resto, nell’esperienza
francescana: Francesco, i vescovi, i papi. Sogni decisivi. E usano per decidere
le sortes apostolorum, così come ogni cavaliere decide per “segni”:
l’apertura a caso dei vangeli, da cui trarre “a caso”, dove l’occhio si posi
per prima, i precetti da seguire. “Francesco pensava con le sequenze del sogno,
dove in un attimo si congiungono tempi e
luoghi; non calcolava secondo ritmi umani”. Una storia fin qui non eccezionale
- come quella del papa: papa Francesco ha avuto anch’egli la vocazione tarda,
sui 25 anni, e come il santo si fa sensibile e giulivo, non promuovendo rivoluzioni
ma testimoniando la fede. Ma sì se si riflette che la “storia francescana”, leggendaria,
rivoluzionaria e duratura, è durata vent’anni, non di più: il vero miracolo è
questo.
Sogni e chansons de geste: è il pregio di questa
ricostruzione di Chiara Frugoni, allieva del padre Arsenio, lo studioso del
sulfureo Arnaldo da Brescia. Che sa dirla breve e persuasiva. Arricchita, oltre
che da tutta la letteratura del
tempo, di cui Francesco era avido consumatore, dall’iconologia - miniature,
rilievi, affreschi - che la studiosa padroneggia come le parole. Emula in questo di dame Frances Yates, pioniera delle immagini come fonti storiche. Anche “il
prodigio della predica agli uccelli” spiega che era in qualche modo già scritto.
Il “Cantico delle creature” naturalmente
no, quello è un unicum. Ma, insomma,
anche i santi hanno una storia. In aggiunta alle “fonti” formative di san
Francesco, molto conta anche il modo, anzi i vari modi, come la sua brevissima
e pienissima biografia fu gestita dopo la morte: si può essere santi per
molteplici aspetti.
Il Poverello
di Assisi non fu prete né monaco. Fu un cavaliere della parola, con le armi
della povertà volontaria: “Per Francesco il luogo della vita religiosa è il
libero spazio da percorrere in un perpetuo cammino”. Un cammino di liberazione:
“La povertà volontaria è libertà fisica – costringe a camminare e camminare –
ma soprattutto libertà mentale”. Voglia e capacità di osare. Tutto è andato per
il meglio, ma i suoi vent’anni di apostolato sono da don Chisciotte, niente in
lui è meno visionario, nella gioia creativa invece che nella malinconia.
Parlando il
francese, fosse o non di madre francese, Francesco crebbe con i cavalieri
della Tavola Rotonda e la poesia cortese. Fino al punto da derivare il nome
come soprannome: “Può darsi che il sopranome sia stato dato a Francesco già
grande per l’entusiasmo con cui leggeva, in quei tempi necessariamente in francese,
le «canzoni di gesta», i romanzi di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda”.
Le sue gesta e anche il suo linguaggio ne risentiranno: tracciarne le fonti
recondite è un’altra avventura, nella già eccezionale avventura del Poverello.
È una tela di fondo che troppo spesso si trascura. Prima che di don Chisciotte
sarà quella di una altro santo vicino a papa Francesco, sant’Ignazio di Loyola,
che ne dà lui stesso certificazione nell’autobiografia che dettò, il “Racconto
del Pellegrino” - Ignazio che “si convertì” cogitando: “Cosa avverrebbe, se io
facessi ciò che ha fatto san Francesco e ciò che ha fatto san Domenico?”
Non è la sola
novità. Molto nella vicenda di Francesco contano i sogni, le visioni dei sogni.
Dei sogni da intendere come “residui diurni”, delle letture le fantasie che le
accompagnano. Dei sogni che informano una vita, tante vite, anche potenti.
Negli esiti più inattesi, tragici, rivoluzionari – senza mai menzionare Freud,
privilegio da medievista.
Chiara
Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi
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